CAPITOLO 6
6.7.2 - L’eredità dall’Italia e gli ultimi anni nel Garabel

Circa un anno dopo l’orribile incidente costato la vita al povero Joao, proprio mentre la giovane vedova Tirloni ed i suoi piccoli figli stanno a fatica cercando di reagire e riprendere una parvenza di organizzazione, la sorte avversa decide di accanirsi nuovamente contro questa famiglia già duramente provata dalla grande disgrazia della perdita del capofamiglia.

Nella seconda metà del 1925 arriva dall’Italia la notizia della scomparsa del nonno Alessandro Tirloni ed insieme a questa notizia la famiglia viene a sapere anche che i fratelli italiani del povero Joao hanno predisposto di inviare in Brasile le quote di eredità spettanti a ciascuno dei fratelli brasiliani.

A causa della grossa crisi economica avvenuta in Italia nei primi anni ’20 ed a causa della politica deflazionistica (nota col nome di “Quota 90”) voluta dall’allora dittatore italiano Benito Mussolini, la fortuna economica del patriarca Alessandro negli ultimi cinque anni si era ridotta tantissimo; tramite i racconti riportati dal vecchio zio Joao Tirloni e da suo cugino Dorval Luiz Maestri (figlio di Albina Tirloni) che ancora ricordano questo aneddoto e le quote che sono spettate ad ogni famiglia, siamo venuti a sapere che il patrimonio del nonno Alessandro Tirloni era passato dalle £ 275.000 Lire del 1920 alla cifra finale di £ 75.000 Lire. Il vecchio patriarca aveva perso addirittura il 73% del suo patromonio, una perdita abbissale!!

Sulla base di questa liquidità i fratelli italiani avevano stabilito le nuove quote in cui dividere l’eredità e cioè £ 10.000 Lire ad ogni figlio maschio e £ 5.000 Lire ad ogni figlia femmina; a Narciza, in quanto vedova di Joao, spettavano quindi 10.000 Lire. Quella cifra, che purtroppo è difficile attualizzare o capitalizzare in Reis dell’epoca, era comunque una somma discreta che le avrebbe fatto davvero molto comodo in questo bruttissimo momento, le avrebbe permesso di affrontare questa grande prova con almeno un po di tranquillità economica… ma purtroppo questi soldi a Narciza non sono mai arrivati!!!

Dopo la notizia della morte del suocero in Italia e della spedizione in Brasile delle quote di eredità Narciza inizia ad attendere di essere convocata o che comunque le venga data notizia che quei soldi son arrivati, ovviamente non è una cosa che avviene in tempi brevi, bisogna aspettare i lunghi tempi tecnici di allora ma il tempo continua a passare e alla famiglia Tirloni non arrivava nessuna comunicazione.

Narciza inizia a preoccuparsi e temere che sia successo qualcosa. Dopo una lunga e vana attesa durata parecchi mesi, Narciza si decide a rivolgersi ai cognati di Porto Franco per sentire se anche a loro è successo lo stesso ed, in caso contrario, per chiedere il loro aiuto a recuperare i soldi che le spettano; lo zio Joao ricorda ancora molto bene che una mattina, mentre vivevano nel Garabel, lui e sua mamma Narciza partono molto presto da casa e dopo aver camminato per più di 12 km tornano a casa a mani vuote e con la tristezza nel cuore per quanto accade.

Percorrono il difficile sentiero che conduce a Porto Franco per andare a parlare con la zia Joana Tirloni Morelli, la maggiore e quindi matriarca indiscussa di tutti i Tirloni. Si recano presso il suo emporio e vengono ricevuti da suo marito, lo zio Joao Morelli (l’unico di tutti i parenti che si era recato a fare visita al morente Joao Tirloni), il quale conferma che le tre zie Joana, Albina e Rosa avevano ricevuto la loro parte di eredità ma che lui non aveva idea del perché Narciza non avesse ricevuto la sua quota. Dopo aver detto questa cosa lo zio Joao Morelli, ha voltato loro le spalle, è entrato nella cucina attigua all’emporio e non ne è più uscito…

Questo comportamento inspiegabile tenuto dal cognato, un uomo benvoluto da tutti, tra i più importanti e rispettabili di Porto Franco che ormai aveva superato la soglia dei 50 anni quindi non più suscettibile della volubilità giovanile, deve aver lasciato del tutto pietrificata la povera Narciza!!!

Delusa dal poco riguardo, o per meglio dire dall’autentico disprezzo, con cui è stata trattata, Narciza decide di scrivere ai cognati in Italia nella speranza che almeno loro la aiutino a capire cos’è successo e si interessino alla sua pietosa richiesta di aiuto, scrive per ben tre volte ma dall’Italia non arriva mai nessuna risposta!!!

Il vecchio zio Joao ricorda ancora molto bene questi momenti ed è proprio grazie a questo suo ricordo che oggi veniamo a sapere che Narciza sapeva scrivere. Soprattutto lo zio ricorda l’immagine di sua madre seduta al tavolo mentre scrive le tre lettere ai parenti italiani di cui lui aveva sempre sentito parlare ma non aveva mai conosciuto, ricorda ancora anche la voce di sua madre che mentre scriveva l’indirizzo a cui venivano spedite queste lettere lo commentava a voce: “Provincia de Bergamo – Romano per Covo – Italia”.

Ognuna di queste lettere viene portata a piedi fino a Porto Franco e consegnata all’ufficio postale che, sempre dai ricordi dello zio Joao, in quel tempo non aveva ancora l’attuale nome portoghese di “Correio” ma veniva identificato con dei termini quali “Collettoria” o “Telégrafo”.

E’ davvero molto interessante questo ricordo perché ci aiuta a percepire come venivano indicati un tempo gli indirizzi postali anche tenuta in considerazione la distanza che separava il Brasile e L’Italia. Se al giorno d’oggi una lettera venisse spedita con un indirizzo indicato in questo modo quasi sicuramente non giungerebbe a destinazione ma c’è da credere che a quei tempi era sufficiente per indicare una destinazione esatta. Ammetto però che la cosa mi lascia un po perplesso quindi il dubbio che queste tre lettere non siano mai giunte a destinazione un po mi rimane…

Purtroppo queste lettere non sono giunte fino ai giorni nostri quindi non sappiamo in quale lasso di tempo siano state scritte, sicuramente sono state inviate in un periodo di tempo abbastanza lungo infatti bisogna considerare che una lettera impiegava almeno un mese per giungere in Italia e quindi da quando si spediva una missiva bisognava attendere almeno due mesi per ricevere una risposta.

Possiamo immaginare facilmente l’ansia della povera Narcisa, di nuovo sola ed impotente di fronte ad una sfortuna molto più grande di lei… Alla prima lettera non segue una risposta e Narciza ne scrive una seconda, passano altri mesi di speranze ma ancora nulla ed ecco che Narciza si rimette di nuovo al tavolo e scrive una terza lettera ma anche in qusto caso i mesi passano in assoluto silenzio… Dopo quasi un anno passato ad aspettare Narciza è sfinita, le sue poche speranze e le sue difese emotive cedono e si abbandona definitivamente al suo destino.

Sia Narciza che i suoi figli più grandi (ancora molto giovani) arrivano alla scontata conclusione che tutti avevano interesse a tenersi la quota di eredità del suo povero Joao, tanto i cognati del Brasile che quelli dell’Italia non erano intenzionati a riconoscere i diritti del fratello morto e voltavano le spalle alla povera cognata vedova ed ai figli ancora piccoli tant’è vero che mai si sono riuniti per cercare di trovare una soluzione o solo verificare chi si fosse impossessato ingiustamente di questa quota di eredità.

La conclusione a cui giunge Narciza è assolutamente inevitabile e non si può certo fare una colpa a questa povera vedova che faceva fatica a sfamare i suoi figli e chiedeva solamente un aiuto a fare giustizia! Nessuno si è mai preoccupato di dare una risposta ed anche il silenzio da parte dei parenti italiani è davvero inspiegabile!!! Personalmente spero che questo silenzio sia stato dovuto solo al fatto che le 3 lettere, per una davvero spietata serie di sfortune, non siano mai giunte ai parenti italiani e che quindi loro non sapessero cosa succedeva in Brasile…

Davvero bisogna dire che la famiglia Tirloni è stata proprio molto sfortunata, nella seconda metà degli anni ’20 è stata colpita da molte, troppe disgrazie tutte insieme che ne hanno inevitabilmente segnato il futuro destino. Se già i rapporti con le tre sorelle del povero Joao e le loro famiglie non era certo idilliaco (soprattutto con la sorella Albina), adesso il clima di sospetto incombeva indistintamente su tutti ed ha diviso ancora di più i gruppi familiari peggiorando ulteriormente nel corso degli anni alimentato da successive incomprensioni.

Molte persone hanno sofferto e molte altre sono state ingiustamente accusate per questo ladrocinio proprio perché i sospetti erano su tutti: inizialmente i maggiori indiziati (anche per causa del loro silenzio) erano i parenti italiani, questi sono stati accusati di non aver voluto inviare l’eredità perché il fratello maggiore era morto e non ne aveva diritto; solamente 25 anni più tardi, con la visita in Brasile dello zio italiano Emanuele Tirloni si avrà conferma che l’eredità era stata spedita a Narciza ed ammontava appunto a 10.000 Lire. A questo punto i sospetti sono ricaduti totalmente su alcuni parenti del Brasile che sono stati accusati di essersi impossessati illecitamente della somma spettante a Narciza.

La verità su questo furto di eredità verrà a galla solamente moltissimi decenni dopo, quando ormai tutti i colpevoli erano già morti. Il signor Alcide Sgrott, che da giovane aveva studiato e vissuto insieme a Josè Tridapalli (figlio di Rosa Tirloni e quindi cugino del vecchio zio Joao Tirloni) rivelerà ai fratelli Joao e Argentino Tirloni che ad andare alla dogana a ritirare tutte le quote dell’eredità arrivate dall’Italia erano stati un figlio di Rosa Tirloni Tridapalli ed un genero di Joana Tirloni Morelli e questo perchè loro erano uomini giovani, avevano studiato e quindi erano più indicati rispetto ai genitori a sbrigare tutto l’iter burocratico necessario per intascare le somme di denaro ma, contrariamente alle accuse mosse contro di loro per molti anni, non erano loro che si erano trattenuti la quota di Narciza!!! Il ladro era stato un'altra persona ed Alcide Sgrott lo rivela ai fratelli Tirloni…

Al giorno d’oggi solamente il vecchio zio Joao è a conoscenza di questo nome ma non è sua intenzione rivelarlo perché il colpevole è ormai morto da decenni e non potrebbe difendersi da quest’accusa ma soprattutto non è intenzione dell zio Joao che i discendenti di quest’uomo vengano additati come ladri per colpe commesse da un loro predecessore.

E’ nostra ferma intenzione rispettare la saggia volontà dello zio Joao e vogliamo ringraziarlo per questa lezione di vita che da a tutti noi!!!

Dopo la triste umiliazione ricevuta da tutti i parenti che non l’hanno aiutata in questo frangente così delicato, Narciza, pur tra mille difficoltà, continua a vivere insieme ai figli nel Garabel ancora per alcuni anni ma la sfortuna purtroppo non accenna a diminuire infatti nella seconda metà del 1927, poco tempo dopo la brutta esperienza passata per l’eredità rubata, la famiglia Tirloni riceve la visita di un Padre Gesuita venuto dalla città di Sao Leopoldo sita nello stato di Rio Grande do Sul.

Questo padre è giunto appositamente fin quassù nel Garabel per comunicare alla famiglia che Salvador Tirloni, il maggiore dei figli di Narciza che studiava nel seminario gesuita di quella città, era venuto a mancare alla fine di Luglio a soli 16 anni di età. La causa della morte de giovane seminarista è stata un infezione alla gamba contratta a causa di una ferita riportata mentre giocava a pallone durante un momento di svago nel seminario!!! Una coincidenza davvero incredibile: lo stesso motivo che aveva fatto prematuramente morire il capofamiglia solo 3 anni prima ora si accaniva contro il maggiore dei suoi figli…

Padre Salvador Tirloni durante gli anni di seminario (fotografia – anni ‘20)

L’unica cosa che forse riesce a portare un po di consolazione ad una distrutta Narciza è il fatto che il Padre Gesuita riporta alla famiglia che il giovane Salvador è morto santamente e, grazie ai suoi meriti e alla sua esemplare condotta tentua durante la vita, i suoi superiori hanno deciso di ordinarlo prete facendogli la vestizione in punto di morte di modo che è salito al cielo come Padre Salvador Tirloni!!!
La foto di Padre Salvador resterà sempre ben esposta nella casa di Narciza.

La famiglia Tirloni continua a vivere nel Garabel per altri 2 anni, anni di disperati tentativi di non soccombere alla brutalità degli eventi ma anche della natura ostile che li circonda. Fa davvero specie sentire i racconti del vecchio zio Joao soprattutto perchè i protagonisti di queste rischiose avventure davvero ai limiti della sopravvivenza sono poco più che bambini… Già faceva specie sentire le traversie in cui è incorso il capostipite Alessandro insieme al manipolo di valorosi pionieri ma loro erano uomini giovani ed in forze, in questo caso bisogna pensare che le battute di caccia per procurarsi cibo le compivano ragazzini di meno di 15 anni!!!

Per di più bisogna considerare che i temerari fratelli Tirloni si inoltravano in mezzo al mato armati non certo di armi di precisione ma tutt’al più di armi da taglio e forse archi con frecce. Tutto era ancora più difficile perché ci si doveva esporre molto di più ai rischi. Fortunatamente c’erano i cani, Tiba e Branco, che aiutavano molto poiché oltre ad avvistare le prede fungevano anche da difesa dei loro padroni.

Lo zio Joao ricorda ancora molto bene un occasione in cui suo fratello maggiore Marcial Alexandre era riuscito ad uccidere una grossa scimmia ma poi è dovuto fuggire di corsa perché le altre scimmie si sono riunite ed hanno iniziato ad inseguirlo per ucciderlo!!! Marcial è corso fino a casa inseguito dalle scimmie inferocite che non desistevano dal loro intento; una volta arrivato è riuscito a liberare i cani prima che arrivassero il branco ad aggredirlo e questi da soli sono riusciti a ricacciare le scimmie inferocite nel mato e liberare Marcial dalla forte minaccia che incombeva sulla sua vita.

Oltre ai cani, un grande aiuto è stato dato ai giovani cacciatori da un’altra persona a loro vicina: il vecchio Bernardo. Proprio la stessa persona che lo zio Joao ricorda essere stata vicino a lui nel tentativo di consolarlo mentre vedeva scomparire in mezzo al mato la carrozza su cui era stata deposta la salma di suo padre gli regala quando ha solamente 12 anni, quindi nel 1928, una spingarda detta dallo zio “uma pica-pau de chumbinho” – definizione davvero di difficile interpretazione che tradotta letteralmente significa: “una pallina di picchio”(forse per indicare che non si trattava di un fucile valido e di precisione).

Questa spingarda servirà a lui ma anche ai suoi fratelli durante le battute di caccia per uccidere anche animali più grossi quali le scimmie ma anche per uccidere animali pericolosi quali ad esempio i serpenti che capitava spesso di incontrare nel fitto mato ma anche nella radura in cui sorgeva la casa dei Tirloni.

Spingarda brasilina d’inizio Novecento (fotografia – epoca attuale)

Gli animali davvero pericolosi però non erano solo i serpenti; il vecchio zio Joao conferma che la loro vita di tutti i giorni in mezzo al mato era perennemente caratterizzata dalla paura; non riuscivano mai a scrollarsela di dosso ed i loro occhi e orecchie erano sempre tesi ed attenti per cogliere qualunque rumore o segno di pericolo. Soprattutto vivevano con la paura dell’ onça preta, la pantera nera.

Onça Preta (fotografie – epoca attuale)

Lo zio Joao ricorda il brutto epilogo che ha avuto come protagonista un uomo che si era deciso ad uccidere una onça preta che da tempo si aggirava nel Garabel seminando morte e terrore tra i pochi abitanti di questa zona. Il cacciatore, deciso a liberare i terreni dalla minaccia di questo felino, si era armato e si era addentrato da solo nel mato cercando tra i fitti cespugli il nascondiglio della fiera e non ha più fatto ritorno alla sua casa!

Sono ovviamente iniziate le ricerche ma del temerario cacciatore non c’è più stata traccia finchè, dopo un po di tempo sono stati rinvenuti (forse proprio dai giovani fratelli Tirloni durante una battuta di caccia) il cappello e la spingarda di quest’uomo che aveva voluto sfidare l’onça e si è ipotizzato che il cacciatore fosse stato ucciso dall’onça e poi trascinato nella sua tana posta magari in qualche grotta perché le ossa di quest’uomo non sono mai state rinvenute!!!

Davvero molti sono i racconti che il vecchio zio Joao ancora ricorda di questi 5 anni passati nel Garabel, sulla sua pica-pau (la spingarda ricevuta in dono dal vecchio Bernardo) e sui viaggi a piedi fino a Porto Franco o Agua Negra fatti in compagnia della sorella minore Madalena. Questi racconti sono una testimonianza diretta che ci aiuta ad inquadrare e cogliere nella loro interezza le emozioni, le paure ed i grandi rischi passati dai primi pionieri, tra i quali il patriarca Alessandro Tirloni, che si erano spinti in queste terre selvagge solo 50 anni prima.

La lucidità con cui lo zio racconta questi aneddoti e l’emozione che lui ancora adesso riesce e trasmette a tutti coloro che lo ascoltano stanno ad indicare che davvero questa è stata per tutti i fratelli Tirloni, poco più che bambini, e per la loro mamma Narciza un esperienza davvero forte e difficile che li ha segnati per sempre in maniera indelebile. Sono queste le tipiche reazioni delle persone che hanno passato momenti non solo difficili ma potremmo dire quasi traumatici (come potrebbe esserlo ad esempio una guerra) ed ancora adesso, a distanza di moltissimi anni non si riesce ma addirittura non si vuole cancellare!!!

Come già detto in precedenza, con il passare del tempo Narciza, che purtroppo non ha assolutamente capacità imprenditoriale e non è in grado di negoziare ciò che ha, si ritrova senza soldi e si vede costretta a svendere per pochi soldi quello che aveva (i buoi, il carro ed altre cose) pur di racimolare qualche Reis per fare fronte alle necessità dei suoi figli. Così facendo riesce a tamponare i problemi giornalmente ma in breve si ritrova a non aver più nulla da vendere…

Per di più tutti si rendono conto che è assurdo restare a vivere in condizioni così selvagge e pericolose; ci si rende conto che è inammissibile fare una vita selvaggia in cui si deve rischiare la vita ogni giorno anche solo per procurarsi il cibo quotidiano quando tutto intorno la civiltà si muove e si evolve. La segheria viene abbandonata e la famiglia, intorno al 1929/30 si trasferisce a Nova Trento.

La proprietà del Garabel non viene subito venduta ma rimane della famiglia senza però che nessuno la sfrutti più. Anche da questo lato purtroppo la sfortuna non accenna ad abbandonare la famiglia Tirloni che si vede costretta a vendere questa proprietà per necessità alcuni anni più tardi quando però ormai era già entrata in vigore una legge che proibiva il taglio delle piante… Anche in questo caso quindi di soldi in casa Tirloni ne entrano pochi tant’è vero che lo zio Joao commenta che la proprietà è stata venduta per “uma ninharia” (= un tozzo di pane)!!!

La trattativa viene fatta dal figlio maggiore Marcial Alexandre quando già era sposato (quindi alla fine degli anni ’30) e l’acquirente è un signore di Brusque il cui nome si è ormai perso nel tempo.

Un'altra versione dei fatti, citata dalla zia Francisca, vuole che il sito del Garabel sia stato venduto allo zio Joao Morelli (versione per altro confermata anche da alcuni discendenti Morelli); purtroppo non è facile fare chiarezza su questo fatto, magari vi è stata una compartecipazione tra i due acquirenti ma di questo non ne possiamo essere certi.

La casa di legno viene demolita e la segheria viene smantellata per essere riassemblata ed utilizzata in un’altra località quindi da quando i Tirloni se ne vanno via il sito del Garabel non viene assolutamente più utilizzato tant’è che al giorno d’oggi, dopo più di 80 anni, è stato di nuovo inghiottito dal fitto mato ed è ritornato allo stato brado. Le uniche testimonianze ancora visibili del sogno costato la vita al povero Joao Tirloni sono le colonne della casa, le fondamenta della segheria, il bananeto, le canne di bambù e le piante di goiaba piantate dai Tirloni.