CAPITOLO 2
2.6 La vita della famiglia a Porto Franco

Come già rimarcato in più occasioni la realtà quotidiana di Porto Franco è un caso più unico che raro. Il fatto che la colonia sia stata fondata ed abitata da emigranti per la quasi totalità originari della provincia di Bergamo ha fatto si che sin dalla nascita la colonia stessa avesse un impronta prettamente “tipica” e per nulla cosmopolita, l’isolamento a cui è stata relegata a causa della sua posizione geografica ha fatto si che questi aspetti siano rimasti immutati fino ai giorni nostri.

Per un viaggiatore qualunque del giorno d’oggi Porto Franco (ora chiamata “Botuverà”) è una tappa di viaggio sicuramente interessante; ai primi posti nella lista dei paesi dello stato di Santa Caterina che meglio preservano la loro “natureza”, Botuverà vanta luoghi incantati: qui e’ possibile visitare grotte, fare il bagno sotto cascate d’acqua dolce ed assaporare prodotti genuini dal miele al vino ma se siete bergamaschi una sosta diventa d’obbligo: venire qui è molto di più che fare il classico viaggio a ritroso nel tempo.

A Botuverà sono diffuse tutte le abitudini che contraddistinguono la cultura bergamasca ma in un contesto decisamente insolito: non e’ da tutti i giorni mangiare polenta e formaggio ai tropici o giocare a bocce e alla “morra” sotto le palme!

Grazie al suo isolamento i suoi abitanti hanno saputo preservare fino ai giorni nostri tutti quegli usi importati dalla provincia italiana dal quale i loro nonni erano partiti: di padre in figlio per generazioni sono state tramandate tutte le nostre abitudini da quelle culinarie a quelle ludiche. Volendo estremizzare temo che perfino l’attitudine delle genti bergamasche di ”bestemmiare” qui possa venire considerato come un atteggiamento tipicamente bergamasco degno di essere conservato…

Quello che più d’ogni altra cosa sbalordisce un visitatore odierno è che qui chiunque parla il nostro dialetto, per decenni l’unica “lingua ufficiale” del paese. Una parlata fatta di vocaboli che a Bergamo non si usano più da decenni e contaminata da tutta una serie di altri dialetti italiani, dal mantovano al tirolese, e dal portoghese o meglio quello che loro chiamano “il brasilian” misto tra veneto e portoghese. Un dialetto strano ma decisamente comprensibile proposto anche nelle canzoni del repertorio della corale del paese, fondata nel 1920. A Botuverà si celebra una volta all’anno, una messa in Bergamasco e si mangiano i prodotti di Bergamo nella festa Bergamasca orgoglio di tutta la comunità.

Sopravvissute fino ai giorni nostri usi e tradizioni sembrerebbero comunque destinate a scomparire poichè la strada prima, la televisione e internet poi, hanno ridotto le distanze tra questa “Bergamo tropicale” e il resto del Brasile ma nonostante l’avvento della modernità i giovani della comunità sono tutt’ora più che ostinati a conservare con meritato orgoglio la loro eredità culturale di cui vanno fieri!

Quella che per certo non scomparirà è l’ospitalità della gente di Botuverà! Personalmente sono entrato nelle case delle famiglie che vivono ancora nel rispetto della natura e della più tradizionale vita contadina: le case rispecchiano quella semplice bellezza tipicamente contadina e la vocazione religiosa delle famiglie (in ogni famiglia esiste almeno un parente prete o suora – proprio come da buona tradizione bergamasca) riporta alla mente i ricordi di quando erano presenti in mezzo a noi i nostri nonni che non iniziavano un pasto senza aver recitato la preghiera.

L’atmosfera che si respira è da “Albero degli Zoccoli”, il film capolavoro di Ermanno Olmi che in moltissimi qui conoscono!!!

Identica atmosfera (ma un dialetto diverso più impostato verso la parlata veneta), identico accogliente calore familiare ed identico attaccamento alle proprie radici ed ai valori familiari si ritrova nella vicina cittadina di Nova Trento in cui in occasione della nostra visita ci vengono tributati onori a dir poco impensabili: un vastissimo gruppo di persone hanno dato vita ad un calorosissimo incontro conviviale – improvvisato in 24 ore – tra parenti fatto di canti italiani accompagnati dall’armonica a bocca suonata dall’ultranovantenne patriarca, una giornata di serenità e sincera allegria che segnano indelebilmente e non si possono scordare!!!

La ricorrenza del nostro viaggio nelle città di Botuverà e Nova Trento e’ stata inoltre un’occasione per ricordare l’importanza delle proprie origini e degli antenati dalla quale la famiglia discende e i cui ritratti sono stati esibiti con venerazione; un momento in più per rinnovare la tradizione dei racconti tramandati oralmente ai giovani che in silenzio, raccolti in cerchio ascoltavano i vecchi narrare incredibili storie vere di autentico eroismo, sacrifici e dolori sopportati con cristiana rassegnazione nella speranza di un domani migliore.

La popolazione con cui si viene a contatto è composta da persone qualunque che ci hanno accolto col sorriso ed aiutato con slancio, ci hanno mostrato e descritto i prodotti della loro terra (tanto diversi dai nostri) oppure si sono emozionate al solo sentire la nostra provenienza proprio da quell’Italia tante volte sentita e forse mai vista da vicino ma comunque tanto presente nella loro realtà. Davvero tanti gli amici incontrati in questa indimenticabile esperienza, a conferma che quello che rende unico un viaggio sono le persone che incontri!!!

Quella che è la realtà locale del giorno d’oggi altro non è che il risultato ereditato da quanto operato e lasciato in eredità dai pionieri che si sono insediati in tutte queste aree più di centotrenta anni fa. Dai racconti riportati dai vecchi di Porto Franco le abitudini dei coloni erano totalmente riprese dalla vita che erano soliti fare in Italia prima dell’emigrazione; l’unica usanza in netto ed inspiegabile contrasto con le abitudini bergamasche era rappresentata dalla cadenza dei pasti infatti dai racconti che i vecchi al giorno d’oggi fanno della loro infanzia appare che il pasto principale e più sostanzioso era consumato di mattina anziché a mezzogiorno ed il piatto principale mangiato da tutti è proprio la polenta.

Può darsi che questa differente abitudine del pasto grosso a colazione sia venuta ai pionieri dalla necessità di dover sfruttare tutta al giornata lavorativa senza la lunga interruzione di un pasto.

Per quanto riguarda la routine in casa Tirloni, se appare sensato ritenere che all’inizio Alessandro nella sua attività fosse aiutato da poche altre persone, la sua segheria ben presto inizia ad attirare personale che viene ovviamente reclutato anche tra i nuovi emigranti che arrivano a Porto Franco. Alessandro allora decide di offrire loro oltre che il lavoro anche l’assistenza più elementare e “domestica”.

Spesso questi emigranti erano uomini giovani e soli quindi avevano bisogno anche di qualcuno che facesse loro da mangiare, che lavasse o riparasse i loro vestiti ed ecco che a questo punto interviene la famiglia di Alessandro: la moglie e le figlie si occupano appunto di dare questo genere di assistenza. Addirittura ad alcuni dipendenti e viandanti viene dato un posto letto nel sottotetto della grande casa oppure in baracche appositamente costruite ed anche la cura di tutto questo viene affidata alle donne di casa Tirloni.

Questo sistema apparentemente assistenzialista è a dir poco infido poiché permette ad Alessandro di avere un ulteriore ritorno economico dai suoi operai; lui paga loro un salario per il lavoro che fanno e si fa pagare per i servigi offerti quindi riduce al minimo i soldi spesi.

Purtroppo a Porto Franco in questi primi anni non esiste una scuola quindi nessuno dei figli di Alessandro ed Elisabetta – a parte il figlio Vittorio – riceve la benché minima istruzione elementare.

I figli maschi aiutano fin da subito il padre nel lavoro della segheria; sono soprattutto loro che vengono destinati a “seguire” la legna quando viene calata nel fiume e spedita alla città poi devono ritornare a piedi a Porto Franco lungo l’unico sentiero nella foresta e dai racconti tramandati si sa che per fare tutto questo percorso ci volevano almeno quattro giorni, spesso capitava che ci si fermasse a Brusque uno o due giorni e poi si ripartisse. Sicuramente è anche in occasioni di questi viaggi che avvengono gli scontri contro i Bugri di cui parlava il bisnonno Emanuele.

Dai racconti tramandati dalla zia Giuseppina Martinelli i giovani Tirloni partecipano insieme al padre ad altri scontri – pianificati ed organizzati con cura – contro gli indigeni: questi ultimi spesso e volentieri colpivano di notte e davano fuoco ai raccolti che i nostri familiari seminavano e coltivavano sulle loro terre liberate dal mato ed allora Alessandro, aiutato dai figli più grandi spesso deve appostarsi di notte a fare la guardia per evitare tutto questo ma anche organizzare vere e proprie “missioni punitive”. Il risultato finale di ognuno di questi scontri termina, come sempre, con gli indigeni che fuggono oppure il sangue che scorre... Era una vita di frontiera, dove regnava la legge del più forte e della sopravvivenza!!!

Con il sempre più crescente volume di affari e per fare fronte alla sempre più crescente richiesta di legname Alessandro espande le sue proprietà terriere; la terra gli serve anzitutto per procurarsi il legname ed il disboscamento, come già detto, viene visto in quegli anni come un’autentica manna dal cielo anche dal governo: in questo modo si riesce ad ottenere pascoli ed aree per l’agricoltura e grazie proprio al lavoro degli emigranti il Brasile vive un periodo di grande emancipazione che porta alla fondazione di nuovi paesi ed alla creazione di infrastrutture dove prima non vi era assolutamente nient’altro che foresta.

Alessandro è adesso il padrone di molte terre dislocate nelle varie località del territorio di Porto Franco: Gabiroba, Acqua Negra (tanto per citarne alcune ma sicuramente vi sono anche altri possedimenti) e forse addirittura nella vicina comunità di Nova Trento.

Non si sa con esattezza come siano iniziati i rapporti commerciali con la comunità di Nova Trento, paese a circa una decina di chilometri di distanza da Porto Franco colonizzato soprattutto da emigranti appunto Trentini; forse i rapporti commerciali sono nati solo per una questione di vicinanza, anche se in quei tempi e con le infrastrutture assolutamente inesistenti i pochi chilometri che separavano i due nuclei risultavano essere un’autentica infinità.

Tutto sommato i possedimenti di Acqua Negra erano lungo la strada che porta appunto a Nova Trento e questo può essere stata una discriminate positiva fatto è che la famiglia Tirloni ha spesso contatti con la comunità di Nova Trento tanto che due figli di Alessandro si sposeranno con gente di Nova Trento. Non è da escludere anche che i contatti con Nova Trento siano iniziati proprio dopo questi matrimoni ma la cosa appare molto strana perché un tempo la gente non si spostava molto ed i matrimoni accadevano praticamente sempre tra compaesani.

Alessandro ha decisamente buon fiuto per gli affari; oltre alle proprietà terriere ha più segherie sparse nella zona le quali producono costantemente materiale lavorato che viene spedito via fiume alla città; oltre alla mensa ed ai dormitori per dare da mangiare e ricovero ai lavoratori del posto decide di aprire anche un emporio – l’unico nella zona – che vende prodotti di ogni tipo agli abitanti di Porto Franco e tutte queste attività sono gestite dalla moglie e dalle figlie. Grazie al commercio del legname Alessandro dispone sempre di qualcuno che va in città e durante il viaggio di ritorno si ferma a comprare eventuali beni di necessità che poi lui vende nel suo emporio.

Alla luce di tutto quanto detto fin’ora si può facilmente immaginare quanto sia la sua potenza economica e senza paura di incorrere in errori si può ben dire che lui da solo rappresenta l’ago della bilancia dell’economia di Porto Franco.

Questo emporio si trasforma presto in un’altra ingente fonte di ricchezza poiché tra i suoi avventori vi sono anche i cercatori d’oro e di pietre preziose che pagano i prodotti venduti da Alessandro con polvere d’oro; questa non subisce svalutazione e non è un bene deperibile ma, al contrario aumenta sempre di più il suo valore con sommo entusiasmo di Alessandro!

A riguardo dell’attività all’emporio è legato un incidente che creerà non pochi problemi ad Alessandro: alcuni anni dopo l’apertura dell’emporio una persona di colore (con tutta probabilità uno schiavo liberato oppure scappato, non sappiamo) inizia a commettere dei furti notturni all’emporio. Alessandro, immediatamente si accorge dei furti ed inizia a fare la guardia durante le notti finchè coglie in flagrante il ladro. Si fa ridare il maltolto e lo avverte che se tenterà di rubare nuovamente non sarà più clemente nei suoi confronti e passerà direttamente alle “maniere forti”. Alcune giorni dopo il ladro ritenta un furto ma Alessandro – che probabilmente non ha mai smesso di fare la guardia – lo sorprende; il ladro tenta di scappare ed Alessandro, furente di rabbia, prende il più grosso peso che usa per la bilancia (1 kg) lo scaglia contro il ladro e lo prende in piena fronte uccidendolo istantaneamente.

Non sappiamo come sia andata a finire; ormai non eravamo più nei primi anni dell’emigrazione in cui non esisteva né legge né controllo e questo fatto sarà arrivato a conoscenza delle forze dell’ordine le quali avranno fatto il loro dovere. Sicuramente il razzismo dilagante si accaniva anche contro il povero ladro di colore che sicuramente non veniva trattato esattamente come ogni uomo bianco ma certamente questo è un omicidio in piena regola e non è certo passato in sordina come gli eccidi degli indigeni che venivano considerati poco più che “bestie”.

Alessandro non si limita alla gestione del suo patrimonio e di tutte le sue attività ma si impegna in prima persona ovunque serve quindi – come già detto – si può immaginare che per diversi anni lui stesso sia tra quel manipolo di coraggiosi che rischia la vita scendendo per il fiume con le cataste di legna. Sempre dai racconti tramandati dalla zia Giuseppina Martinelli sappiamo infatti che proprio nei primi tempi non era solo Alessandro ad essere coinvolto in prima persona nella parte rischiosa del trasporto della legna infatti mentre lui si trova sulle cataste di legna che galleggiano nel fiume la moglie Elisabetta segue il percorso della legna dalla strada con il un carretto che serve per essere riempito di tutte le provviste che vengono comprate durante la via del ritorno.

Nel frattempo il tempo passa ed i primi figli diventano grandi; la figlia maggiore Joana si fidanza con Joao Morelli figlio di quel Pietro Morelli che insieme ad Alessandro era tra i primi pionieri che erano giunti a Porto Franco risalendo il fiume con le barche. Joao Morelli è nato 6 anni prima di Joana in Italia, nel comune di Verdello – paese poco distante da Bergamo – ed è giunto in Brasile all’età di circa 2 anni. Lui è l’unico tra i vecchi parenti del Brasile ad essere nato in Italia!

Joana e Joao si sposano a Porto Franco il giorno 02 Gennaio 1901 e Alessandro per la prima volta si deve scontrare con quella che per tutto il resto della sua vita sarà una delle sue più grandi preoccupazioni: la dote da lasciare alle figlie.

Non si sa con certezza se vi siano stati problemi in questo preciso frangente ma conoscendo il caratteraccio di Alessandro c’è da credere che non sia stato facile per la giovane coppia ottenere qualcosa da lui. Va detto che la famiglia Morelli è comunque tra le famiglie benestanti del paese (anche perché tra i primi coloni quindi tra i pochi che ha potuto fare fortuna); sono proprietari di un bell’appezzamento di terreno proprio nell’odierno centro del paese quindi sicuramente il problema economico non graverà mai su questa coppia.

L’anno seguente nascerà il primo figlio di Joana, Luis Morelli. Alessandro ed Elisabetta a soli due anni di distanza dalla nascita dell’ultima figlia Antonia, all’età rispettivamente di 49 e 45 anni, diventeranno per la prima volta nonni di una vastissima stirpe di nipoti che alla fine (gli ultimi due nasceranno entrambi nel 1934) diventeranno ben 58!

Probabilmente nel 1905 in casa Tirloni c’è il secondo matrimonio: la figlia terzogenita Rosa si sposa con Carlos Tridapalli, un giovane di Nova Trento di 11 anni esatti più vecchio di lei anch’egli rampollo di una famiglia originaria di San Benedetto Po (paese in provincia di Mantova) che aveva fatto fortuna in questa comunità e la coppia si trasferisce proprio al paese di Carlos.

Il terzo matrimonio avviene probabilmente intorno al 1907 quando la figlia secondogenita Albina sposa il compaesano Josè Andrè Maestri di 1 anno più vecchio, anch’egli figlio di uno dei primi pionieri arrivati a Porto Franco insieme ad Alessandro. La famiglia Maestri era tra i primi ad aver costruito fornaci per mattoni e tegole e, sebbene anch’essa benestante, è di estrazione forse più modesta rispetto a tutte quelle citate fin’ora.

Si arriva all’inizio dell’anno 1909, un anno particolare per la storia della nostra famiglia. La situazione a Porto Franco è la seguente: Alessandro ed Elisabetta sono sposati ormai da quasi 31 anni e vivono in una condizione di assoluta agiatezza ma non per questo si fermano dal loro lavoro che, anzi, aumenta sempre di più!

Le prime tre figlie sono sposate ed i nipotini sono ormai diventati già 7. In casa vivono ancora 9 figli di cui 5 già grandi e 4 ancora adolescenti (la più giovane dei quali – Antonia – ha 10 anni ma sicuramente già da molto tempo aiuta la madre e le sorelle maggiori in tutte le attività di famiglia). I tre figli maschi più grandi già lasciano intuire le loro intenzioni per il futuro:

- Joao ha 23 anni, si occupa della gestione della segheria di Acqua Negra ed è fidanzato con una ragazza di Nova Trento di nome Narcisa Geselle.

- Vittorio ha 21 anni e studia (forse è l’unico tra i fratelli ad avere ricevuto un’istruzione) in collegio ma non si sa precisamente in che città (mi sembra di ricordare che mio nonno parlasse di Florianopolis ma non è da escludere che si trattasse di un’altra città più vicina come ad esempio Itajai o la stessa Brusque).

- Emanuele ha 18 anni, aiuta il padre nella segheria di Porto Franco ed è fidanzato con una ragazza, presumibilmente del paese, il cui nome però non è giunto ai nostri giorni

Nonostante la maggior parte dei figli siano già grandi Alessandro continua a mantenere il suo indiscusso potere di capofamiglia e comanda tutti con il pugno di ferro. E’ un uomo incredibilmente avaro; forse perché ha provato sulla sua pelle la fame e la miseria non vuole regredire dall’agiatezza che si è faticosamente conquistato ed il modo più semplice per non diventare povero è continuare a fare soldi e ovviamente spenderne il meno possibile. Proprio per questo motivo impone a tutta la famiglia il rigore più assoluto quindi di sicuro nessuno si può “godere” gli agi della vita benestante che potrebbero permettersi.

Bisogna dire che la vita che Alessandro conduce in Brasile non è propriamente un esempio di onestà e senso civico; quando era partito in canoa da Brusque risalendo il rio Itajai-Mirim sostanzialmente aveva abbandonato la civiltà per entrare in una “terra-di-nessuno” in cui non esisteva alcuna legge. Ognuno era libero di fare quello che voleva e lui approfitta sempre molto di questa libertà!

Passati questi primi anni, lo stato Brasiliano, emancipato anche dal lavoro dei coloni, inizia ad assestarsi ed a prendere sempre più forma di nazione burocraticamente governata ed anche i pionieri, che ormai si sono stabilizzati nelle terre da loro scelte, vengono aiutati sempre meno. Iniziano ad arrivare i controlli, la legge ed inevitabilmente le tasse…

Tutto questo inizia a mandare in crisi Alessandro che da un alto non vuole assolutamente perdere la sua libertà d’azione e dall’altro vive ogni spesa, anche la più piccola, come qualcosa di traumatico con gesti che arrivano ad essere addirittura estremi. A tale proposito si narra di un avvenimento che ben descrive queste sue reazioni: quando il Governo decide di fare pagare a tutti una particolare tassa (non si sa con esattezza di che genere di tassa si tratti e a cosa sia legata), Alessandro perde completamente il lume della ragione e si presenta furente negli uffici delle imposte, si toglie la camicia e, mostrando il petto nudo, grida agli increduli e spaventati impiegati con aria di aperta e decisa sfida: “Ammazzatemi, ammazzatemi direttamente”!!!!

Questo suo atteggiamento estremo ed anche il suo continuare a condurre una vita al di fuori della legge iniziano a renderlo inviso ai rappresentanti locali del Governo; diventa un personaggio difficile da gestire e non gradito. Il fatto dell’omicidio citato in precedenza non fa altro che peggiorare la sua posizione e addirittura gli viene intimato un out-out: o si impegna ad obbedire alle leggi e si rimette “in riga” oppure sarà obbligato ad abbandonare il Brasile con metodi coercitivi.