La famiglia sbarca al porto di Genova con un componente in meno. Non siamo riusciti a capire come siano le procedure in questo caso, forse deve essere notificato il decesso di Angelo alla Capitaneria di Porto e non ad una Parrocchia o forse fanno fede solo i registri navali, non sappiamo… Sbrigate tutte le eventuali formalità burocratiche e – se è vero il raccontro tramandato dalla zia Giuseppina Martinelli – celebrate le esequie e la tumulazione del giovane Angelo in un cimitero di Genova, i Tirloni si avviano verso le terre bergamasche e, stando al registro, arrivano a Covo appunto negli ultimi giorni del mese di Luglio.
La prima cosa che faranno sarà comunicare ai fratelli in Brasile la disgrazia mentre dal Brasile arriverà la notizia delle avvenute nozze e questo è l’inizio di una corrispondenza che persiste e lega la nostra famiglia ancora ai giorni nostri!!!
Alessandro cercherà sempre di convincere i figli rimasti in Brasile a raggiungerlo mentre gli altri figli venuti in Italia inizieranno a soffrire di una malattia fino ad allora sconosciuta che non li abbandonerà mai: la “saudade” [= nostalgia] verso la loro terra natale. Nella loro mente resterà sempre l’immagine ed il sogno del Brasile come della terra fortunata in cui rifugiarsi nei momenti difficili.
La comunità di Covo si “accorge” fin da subito dell’arrivo di questa nuova famiglia anche perché non si tratta certo di gente qualsiasi. Anzitutto i ragazzi, al loro primo apparire nella comunità, vengono a lungo derisi Covesi perchè indossavano pantaloni a quadri e dai colori molto vistosi come tipico in tutti i “paesi caldi”! Se pensiamo che all'epoca per l'uomo era solo concesso di vestire abiti scuri, devono essere sembrati molto eccentrici. Con il tempo tutti iniziano ad adeguarsi alla moda locale e questo problema viene superato.
Alessandro, dal canto suo, si impone fin da subito sulla scena come un affarista molto ricco basti pensare che la prima immagine che di lui hanno avuto gli abitanti del piccolo centro rurale bergamasco è stata quella di un signore che ha varcato l’oceano insieme ad un figlio per visionare personalmente la terra da comprare, è ritornato in Brasile e si è ripresentato insieme a tutta la famiglia. Si evince quindi che è una persona che si interessa in prima persona dei suoi affari tanto da sobbarcarsi tre traversate oceaniche in poco tempo, compera senza problemi una cascina e vi si trasferisce. E’ lapalissiano che è uno dei pochi emigranti che nella “Merica”, come si soleva dire in quel tempo, ha fatto tanta fortuna!!! Proprio per questo viene immediatamente soprannominato dagli abitanti di Covo, con voce dialettale bergamasca: “Ol siur Americà = il signore Americano”.
Ad onor del vero va detto che la cascina Battagliona ha un terreno di sole 700 pertiche ed è, tutto sommato, decisamente sottodimensionata rispetto alle enormi potenzialità economiche di cui dispone Alessandro… Lui può essere considerato a tutti gli effetti l’uomo più ricco di Covo, potrebbe per assurdo comprare tutti i terreni di questo piccolo comune ed invece si riduce a vivere in una piccola proprietà.
Questa scelta è decisamente strana ed ancora adesso è difficile da capire anche perchè nei racconti tramandati fino a noi non si è mai fatta menzione di una diretta spiegazione data da Alessandro in riguardo a questa scelta. Mio padre, interrogato sull’argomento, ha risposto che secondo lui è stata una misura cautelativa adottata da Alessandro in quanto non essendo pratico del mercato economico italiano probabilmente ha preferito evitare di impegnare fin da subito troppi soldi.
Certo è che la liquidità di cui dispone Alessandro è davvero impressionante; non bisogna dimenticare che quando sbarca in Italia ha con se due sacchi pieni di monete d’oro: sono i 500.000 Reais frutto della vendita del terreno in Brasile alla figlia Rosa ed al genero Carlos Tridapalli ed altrettanti gli verranno recapitati due anni più tardi a saldo del debito.
Il dettaglio dei due sacchi pieni di monete d’oro viene riportato dai racconti dei nostri vecchi di entrambe le famiglie sia quelle al di qua che al di là dell’oceano. L’unica discrepanza è che i racconti sentiti in Italia parlano di “Sterline” mentre i racconti brasiliani parlano appunto di “Reais”. Può darsi che Alessandro in Brasile prima della partenza abbia fatto convertire tutti i soldi ricevuti (Reais appunto) in una moneta corrente più facilmente accettata da qualunque banca italiana cioè la Sterlina che era all’unanimità la moneta con cui si effettuavano le transazioni economiche mondiali prima del Dollaro. Mai scorderò l’immagine di mio nonno che, mentre descriveva in maniera molto enfatica questo aneddoto, per meglio rendere l’idea mimava con le mani la dimensione di ognuno dei sacchi che risultava essere lungo circa 30 cm per 10 cm di diametro.
Probabilmente questi soldi vengono depositati in una banca; non so se ne esistessero ai tempi a Covo ma è probabile che ci fosse almeno uno sportello anche perché va considerato il dettaglio dei rimanenti 500.000 Reais a saldo del debito…
Come saranno arrivati ad Alessandro questi soldi? E’ improbabile che qualcuno si sia sobbarcato una traversata oceanica per recapitarli direttamente nelle mani di Alessandro ed è assolutamente impossibile che siano stati spediti quindi la cosa più probabile è che Alessandro abbia aperto un conto in una banca in cui poi è stato depositato il saldo con una semplice transazione bancaria.
Certo è che nessuno sa con precisione se i famosi due sacchi pieni di monete d’oro siano stati depositati fin da subito oppure siano stati tenuti in casa da Alessandro che magari li ha nascosti proprio come si usava fare un tempo “sotto la mattonella”.
Chissà com’è stata la vita alla cascina Battagliona in questi primi tempi… Bisogna pensare che tutti dovevano completamente stravolgere la loro vita e le loro abitudini; il cibo era diverso, il lavoro era diverso e soprattutto le condizioni meteorologiche erano diverse.
Il lungo freddo invernale era decisamente una cosa a cui i giovani Tirloni non erano preparati ed a cui Alessandro ed Elisabetta non erano più abituati; chissà cosa hanno provato i ragazzi durante il primo inverno passato in Italia: le lunghe ore di buio saranno parse interminabili, l’umido freddo che entra nelle carni e giunge fino alle ossa sarà parso un ostacolo tremendo e poi il freddo sarà peggiorato e sarà arrivata la neve. Chissà come avranno reagito i giovani di fronte alla prima nevicata della loro vita… Chissà cosa avranno pensato dopo mesi trascorsi al freddo più impensabile… Sicuramente avranno ripensato alla loro patria nativa, avranno ripensato al caldo torrido della lunga estate ed avranno sicuramente tutti pensato che si stava meglio in mezzo al mato, con la paura di essere assaliti dai Bugri piuttosto che in Italia a morire di freddo.
Ancora adesso i parenti brasiliani non hanno idea di cosa possa significare una nevicata e vivere per mesi in mezzo alla neve perché nella regione di Brusque non la si è mai vista e tutti ne parlano in maniera indefinita, senza precisamente sapere cosa stanno dicendo. Ricorderò sempre i volti stupefatti dei bambini dei nostri parenti mentre ascoltavano i nostri racconti come fossero favole!!!
Circa due anni dopo l’arrivo a Covo si celebra in famiglia il primo matrimonio italiano: il 18 Febbraio 1911 la figlia maggiore Angelina si sposa con il compaesano Agostino Alessandro Nava di 5 anni più grande di lei.
Si ripresenta in questa occasione per Alessandro l’incubo della dote da pagare e sappiamo da lettere rinvenute in Brasile, scritte alcuni anni dopo che l’intercessione della madre Elisabetta è stata fondamentale affinchè Angelina avesse una dote decente e non sfigurasse nei confronti del marito.
La mamma Elisabetta, donna buona ed amorevole, deve aver avuto da sempre un ruolo determinate nella famiglia come tramite tra il marito Alessandro ed i figli; anche se un tempo il ruolo delle donne nella società era di totale emarginazione e cieca obbedienza al capofamiglia (padre o marito che fosse) senza possibilità di rivalsa lei deve aver combattuto molto contro il marito per il bene dei suoi figli e deve essere stata la sola che riusciva, sicuramente a prezzo di enormi fatiche, a fare ragionare e ravvedere il marito quando questi si impuntava su cose palesemente sbagliate e ne è una testimonianza il suo strenuo operato dei confronti della dote della figlia Angelina.
All’inizio dell’anno seguente il figlio Vittorio, terminati gli studi collegiali, si imbarca e raggiunge la famiglia a Covo ed a questo punto gli equilibri familiari prendono l’assetto che porterà fino alla situazione dei giorni nostri. Forse proprio in occasione dell’arrivo di Vittorio la famiglia festeggia e per l’occasione viene addirittura chiamato un fotografo alla cascina Battagliona che scatta la prima foto in assoluto della nostra famiglia.
Di questa fotografia vengono fatte più copie che vengono spedite in Brasile ed una copia originale fatta all’epoca è giunta fino ai giorni nostri. Sempre nella stessa giornata vengono fatte altre fotografie ad Alessandro ed Elisabetta (lo si evince dal fatto che l’abbigliamento dei due è lo stesso della foto di famiglia ma la postura è differente) che verranno in seguito utilizzate per la loro lapide nel cimitero di Covo.
Purtroppo in questa foto manca appunto la figlia maggiore Antonia che essendo già sposata non viveva più in casa ma grazie a questa fotografia possiamo finalmente associare un volto ai vari protagonisti di questa storia di cui tanto abbiamo parlato fino ad ora!!!!
Tutti sono tendenzialmente seri come si conveniva un tempo quando ci si apprestava a farsi fare il “litrat” – come si diceva in dialetto storpiando il termine “ritratto”. La fotografia era vista come qualcosa di importante e bisognava essere seri ma tutti sono impeccabilmente elegantissimi e ben curati (cosa non scontata all’epoca anche per gente benestante); le ragazze presentano acconciature particolarmente vistose e “ricche” come poteva essere di moda nell’epoca e tutti i giovani portano indosso oggetti che sembrano anche di pregevole valore come ad esempio collane, cinture, orecchini e, per i maschi, orologi a cipolla con la catenella ben in evidenza sui panciotti.
Alessandro al momento di questa foto si avvicina alla soglia dei 60 anni e sebbene in quei tempi sia un uomo ormai considerato vecchio appare decisamente saldo nella sua posizione di capofamiglia. E’ completamente canuto ed il suo volto, magro ed affusolato, è incorniciato da folti baffoni spioventi (come era moda nell’epoca presso le classi meno abbienti) anch’essi bianchi. L’espressione è forte e serissima e lo sguardo è fiero, diretto e sicuro. L’unica cosa che forse potrebbe lasciare tradire una qualche sua “insicurezza” sono le grandi e forti mani che vengono tenute strette l’una all’altra ma forse questo è da intendersi dovuto alla poca dimestichezza con la postura da assumere in fotografia più che ad una reale soggezione. Non sembra essere molto comodo in questa posizione, non deve essergli congeniale stare seduto inattivo e non appare per niente rilassato ma, al contrario, con i nervi tesi pronto a “scattare”.
Elisabetta ha circa 55/56 anni e, al contrario del marito, inizia appena ad ingrigire. Il suo volto, dai lineamenti più marcati, appare meno invecchiato di quanto ci si potrebbe attendere da una donna che ha avuto 12 gravidanze ed una vita certo non facile segnata dal lavoro e dai sacrifici. L’espressione è mite e bonaria e lo sguardo materno e, tutto sommato, dolce lascia spazio agli occhi velati di stanchezza che fanno ben intendere “averne viste molte” ed aver combattuto molto. Appare molto più rilassata del marito e non appare certo scomoda nella posizione di matriarca ma le sue grandi e lunghe mani ci fanno capire che il suo lavoro non è stato solo quello casalingo e sicuramente non è ancora finito. E’ una donna mite e magari stanca ma non certo rassegnata.
Eliseo ha quasi 17 anni e lascia trasparire ancora una piccola quota di quella spensieratezza ed insicurezza adolescenziale di cui si può permettere in una famiglia come questa. Per lui il tempo dei giochi è finito da molto ed infatti si nota in lui già un forte accenno alla serietà che si addice ad una persona che già fatica nel lavoro per dare un contributo al pane quotidiano.
Francesca ha 18 anni. Appare dolce e serena e, forse spontaneamente, poggia la mano sulla spalla del padre. Lei è l’unica tra tutti i fratelli che in questo momento cerca un contatto fisico con i genitori e questo lascia intendere un attaccamento nei confronti degli stessi. Per molto tempo non è riusciti ad associare con certezza un nome a questo volto, è stata spesso confusa con la sorella maggiore Angelina ma grazie alle varie fotografie ritrovate di entrambe ora si è potuto finalmente associare un nome sicuro ad ognuna delle ragazze.
Vittorio ha 24 anni ed è il più grande tra i fratelli tornati in Italia. Lui è forse quello che tra i fratelli più somiglia esteticamente al padre; ha lo stesso viso magro ed affusolato anche se ha il mento più squadrato. E’ in Italia da poco e forse è ancora un po spaesato o comunque non certo a suo agio ma sicuramente da di se un immagine di giovane determinato.
Emanuele ha 21 anni ed è l’unico che nella foto accenna un composto sorriso. Somiglia molto al fratello Vittorio ma il suo volto appare meno magro ed è fisicamente più predisposto. E’ il più alto della famiglia e la sua altezza, che supera i 180 cm, è decisamente superiore alla media dell’epoca.
Vittoria ha 19 anni ed è quella tra le sorelle che più appare sicura di se; ha testa alta e lo sguardo deciso. Lei è quella che più colpisce per l’elevato grado di accuratezza dell’acconciatura ed il taglio del volto ricorda molto quello del padre e del fratello Vittorio.
Antonia ha quasi 13 anni. Anche per il suo riconoscimento si sono avuti molti dubbi e solo tramite il ritrovamento di altre fotografie delle sorelle maggiori ora si può affermare con ragione la sua identità. Nonostante la sua statura sia pressoché la medesima delle sorelle, il suo volto appare a tutti gli effetti molto giovane e la sua testa leggermente abbassata insieme allo sguardo intimidito lasciano propendere appunto verso la piccolina della famiglia.
Al momento in cui è stata scattata questa foto ovviamente nessuno poteva immaginare cosa sarebbe ben presto accaduto ma proprio la decisone di non tardare ulteriormente a farsi ritrarre è stata una fortuna per noi discendenti che possiamo conoscere il voto della nostra matriarca. Purtroppo infatti questa madre tanto cara e amata è destinata a finire presto la sua opera buona per il bene dei suoi figli poiché presto il fato si accanisce contro di lei.
Pochissimo tempo dopo aver avuto la fortuna di riabbracciare il figlio Vittorio, appena arrivato dal Brasile, il giorno 10 Aprile 1912 la mamma Elisabetta – come da ordinaria routine familiare in un giorno come tanti altri – esce dalla casa con in mano una cesta piena di panni da lavare e si reca all’angolo nord-orientale della cascina in cui si trova una roggia di acqua sorgiva che ora è stata interrata. Quello è il posto in cui si reca sempre per lavare i panni ma purtroppo il destino avverso ha deciso che Elisabetta quel giorno non tornerà più in casa e non rivedrà più i suoi familiari…
Passato un po di tempo la figlia più piccola, Antonia, non vedendola rincasare va a cercarla ed appena giunta alla roggia alla giovane tredicenne tocca la sventura di trovarsi da sola di fronte ad una scena tra le più orribili che possano capitare: il corpo senza vita della madre riverso a pancia in giù galleggia nella roggia trascinato in circolo dalla leggera corrente.
Non sappiamo come siano andati esattamente gli attimi immediatamente successivi a questa macabra scoperta ma possiamo facilmente immaginare che Antonia sia scoppiata in un urlo disperato e magari abbia inutilmente cercato di chiamare la madre…. Le sue urla saranno state avvertite magari dalle altre sorelle in casa oppure dai fratelli e dal padre che probabilmente si trovavano nella stalla o nei campi e tutti saranno accorsi per soccorrere Antonia pensando le fosse successo qualcosa salvo poi trovarsi tutti di fronte a questa orribile scena.
Probabilmente qualcuno degli uomini si sarà dato da fare in mezzo alla disperazione ed al pianto di tutti per recuperare il corpo ormai senza vita della madre e restituirlo alla pietà dei familiari, magari Alessandro stesso si sarà gettato d’impulso nella fredda acqua della roggia oppure avrà incitato i figli dalla sponda ed avrà accolto il corpo fradicio della moglie una volta che sarà stato ripescato dall’acqua per poi stringerlo a se e forse domandare ancora una volta, con gli occhi rivolti al cielo: “…perché???...”
Probabilmente Elisabetta è stata colta da un malore mentre, china sulla roggia, stava lavando i panni ed il malore è stato talmente fulminante che la povera donna è caduta in acqua già morta ma non è da escludere che sia accidentalmente scivolata ella roggia ed i pesanti vestiti che si usavano un tempo, impregnati di acqua, si siano immediatamente trasformati in una trappola mortale delle più crudeli.
Stando all’atto di morte rinvenuto negli archivi della parrocchia di Covo Elisabetta ha concluso il suo faticoso cammino terreno a 56 anni già compiuti di cui quasi 34 passati accanto ad un uomo che sicuramente le ha dato meno affetto ed attenzioni di quanto si meritasse. Il caso è stato ufficializzato come morte per cause naturali (sul registro parrocchiale si legge: “morbo repentino corrupta”).
Personalmente mi auguro che l’ipotesi veritiera sia quella ufficiale e che alla povera Elisabetta, dopo una vita di sacrifici, fatiche, rinunce ed umiliazioni non sia toccata la triste sorte di chiudere la sua parabola umana morendo nell’atroce spavento provocato dall’annegamento. Preferisco pensare che in un istante, senza quasi rendersi conto di quello che le stava succedendo, sia andata incontro al meritato riposo eterno ricevendo il premio che spetta ai giusti.
Una curiosità degna di nota emersa osservando l’atto di morte è il fatto che sembrerebbe che la madre di Elisabetta fosse ancora viva al momento di questo decesso infatti il suo nome, segnato come Francesca Tadini (anziché Tardini o Tardina come a volte è apparso in altri documenti) non è preceduto dalla sigla “quond.” che ai tempi si usava per indicare sui registri ufficiali (indicando la paternità o maternità) una persona ormai defunta.
Non sappiamo se si tratta di una semplice dimenticanza oppure se la madre di Elisabetta fosse veramente ancora viva e non sappiamo nemmeno dove eventualmente si trovasse; forse era rimasta in Brasile, forse era tornata in Italia insieme alla figlia al genero ed ai nipoti… Dando per corretta l’età segnalata sui documenti di emigrazione ritrovati in Brasile la donna se fosse viva avrebbe 78 anni che per quell’epoca è un’età considerata decisamente alta ma non impossibile da raggiungere.
Il funerale viene celebrato due giorni dopo il decesso ed il feretro di Elisabetta viene tumulato nel cimitero di Covo; proprio a seguito di questo lutto Alessandro fa immediatamente edificare la tomba di famiglia che è giunta fino ai giorni nostri. Per molto tempo, finchè non muoiono i figli, le lapidi su questa tomba riporteranno, come si usava un tempo, i poetici epitaffi di Elisabetta ed Alessandro.
Persa la guida della mamma, il posto di regidura (= matriarca) viene assunto dalla figlia maggiore che era ancora in casa: la “terribile” (in quanto anche lei d’accordo con la politica di assoluta parsimonia voluta dal padre) zia Vittoria.
In famiglia ci si ritrova in poco tempo senza due donne poiché ormai Angela è sposata da un anno e sta per avere (o forse era già nata, non sappiamo) una bambina che si chiamerà Narcisa (in ricordo della zia che vive in Brasile) quindi la situazione non è certo facile ed Alessandro inizia a spronare il figlio Emanuele, l’unico che ha una fidanzata, a sposarsi affinchè in casa entri una donna in più che possa aiutare nei lavori domestici di questa grande famiglia.
Ecco dunque che il giorno 16 Novembre 1912 Emanuele sposa la compaesana di tre anni più giovane Rosa Morosini. La coppia si stabilisce ovviamente alla cascina Battagliona e Rosa si trova a dover badare a questa grande famiglia sotto la guida del burbero suocero e sotto lo sguardo vigile della cognata Vittoria. Dopo meno di un anno, il 6 Ottobre 1913, alla coppia nasce un bambino, il primo nipote maschio di Alessandro nato in Italia ed a questi viene dato il nome di Angelo Battista Tirloni in ricordo del povero zio venuto a mancare 4 anni prima durante la traversata verso l’Italia. Per un errore compiuto dalla levatrice nel denunciare il bambino i nomi vengono invertiti ma ciò non toglie che questi sarà chiamato per tutta la vita sia in casa che in pubblico “el sio Angel = lo zio Angelo”.
Un mese dopo la nascita di questo bambino, il giorno 29 Novembre 1913 Vittorio si sposa con Lucia Cucchi, una compaesana di 7 anni più giovane di lui ed anch’essi andranno a vivere alla cascina Battagliona. Lucia è una donna allegra, dal sorriso facile e si lega subito con la cognata Rosa donna mite e remissiva; inizia così un sodalizio tra le due cognate che saranno sempre grandi amiche e tenteranno di supportarsi a vicenda per convivere con l’ingombrante suocero.
Come già detto, durante tutti questi anni di vita Italiana i rapporti tra i due rami della famiglia (quella in Italia e quella in Brasile) vengono mantenuti da una costante corrispondenza. Ci piace pensare che le lettere fossero sempre portatrici di novità da ambo le parti; annunciassero i matrimoni italiani e le nuove nascite dei vari nipotini.
Alessandro è quasi sicuramente analfabeta o al massimo è in grado di leggere, è quindi quanto mai possibile che le sue lettere non sono scritte da lui stesso ma sono dettate ai vari figli, figlie e nuore.
Inevitabilmente tutti i componenti della famiglia hanno subito un “imbastardimento” del loro frasario da parole utilizzate in Brasile, ad esempio si sa che Alessandro per tutta la vita utilizza il termine “safado” per indicare una persona di cui non ci si deve fidare, un imbroglione o addirittura un delinquente. Questo è un termine che non proviene assolutamente dalla tradizione bergamasca ma al contrario ha una derivazione tipicamente delle colonie portoghesi dell’America Latina ed è tutt’ora usato.
Parlando di questo argomento va detto che in casa Tirloni vi è una grossa disparità tra i livelli di scolarizzazione dei fratelli: sappiamo che Joana e Rosa sanno leggere ma non sappiamo se sanno scrivere, sappiamo che Vittorio ha studiato in collegio, sappiamo che Angela, Francesca ed Eliseo sanno scrivere in maniera decente e sappiamo che Emanuele non ha mai frequentato scuole ma è in grado di leggere e sa solo fare la sua firma. Non sappiamo quale sorte toccasse agli altri fratelli ma si può ritenere che tutti sapessero almeno leggere.
Un aiuto all’alfabetizzazione viene data alla famiglia da un personaggio che definire “particolare”, “estroso” oppure ancora “eccentrico” risulta ancora riduttivo: l’anziana signorina Luigia Valaguzzi (1863 – 1947), meglio nota come “la Bigia Valagùsa” oppure “la Bigia de Cof” che entrerà fin da subito a far parte della nostra famiglia e proprio su questo personaggio conviene aprire una parentesi.
Questa era un’ex ostetrica a cui, per motivi avvolti nel mistero (il padre era una persona “scomoda” quindi anche lei era stata messa alla berlina), probabilmente sin dagli albori del Fascismo – o addirittura prima – era stata revocata la libertà di professione; era una donna dotata di indubbia cultura ed è stata lei che ha insegnato ad alcuni ragazzi della famiglia a leggere e scrivere.
La Bigia era famosa sopratutto in quanto era una potente “guaritrice” (detta con voce bergamasca “la settimina” oppure “la segnuna”); la sua abilità e la sua conoscenza dei rimedi naturali erano indiscussi ed il suo aspetto esteriore, volutamente trasandato fino all’estremo, facevano di lei una persona che poteva ben essere accostata alle “streghe” dei racconti vernacolari.
Vestiva con più gonne indossate una sopra l’altra ed aveva sempre i capelli avvolti in variopinti e bizzarri foular/copricapi. Si racconta che non si lavasse mai ed anche la casa in cui viveva – al giorno d’oggi ridotta a pochi ruderi denominati Cascina Italia – ben rispecchiava sia nell’arredamento che nella cura l’atteggiamento ed il modo di fare della padrona.
Come ogni guaritrice anche la Bigia era circondata da un alone di mistero e di soprannaturale che alimentava ancor di più la sua fama di “strega” ed un tempo la gente, sopratutto a causa della poca istruzione, era molto propensa a credere a queste magie e sortilegi anche perché esistevano più guaritori che medici.
Probabilmente era più temuta che rispettata ma era una persona molto buona e cercava solamente di aiutare – a modo suo – la gente in difficoltà e non ha mai rifiutato i suoi servigi a quanti le chiedessero aiuto. Ancora adesso i vecchi di Covo narrano di una famiglia che per paura l’abbia cacciata in malo modo e lei abbia lanciato loro una maledizione dicendo: “Adesso mi cacciate ma verrà un giorno in cui sarete voi a cercarmi”. La profezia si è avverata e quando in quella famiglia si è verificato un grave caso di malattia subito è stata chiamata la Bigia che si è immediatamente recata nella casa per aiutare la persona malata.
Orami ultraottuagenaria la Bigia ha iniziato a cedere sotto il peso dei suoi anni e della sua incuria. E’ stata portata in ospedale (contro la sua volontà) e qui la prima cosa che gli infermieri hanno fatto è stata lavarla dopo decenni. La cosa non è stata per niente facile poiché si racconta che la sua sottoveste era ormai completamente aderita alla pelle e non si riusciva a tirarla via; la Bigia non voleva che la lavassero e continuava a dire: “se mi lavate mi farete morire”!
Anche questa volta la sua profezia si avvera e la mattina seguente – giorno della vigilia di Natale – la Bigia viene trovata senza vita nel suo letto d’ospedale. Dopo il funerale è stata sepolta nel cimitero di Covo e anche al giorno d’oggi sulla sua tomba non mancano mai i fiori freschi …ma nessuno ha mai visto chi li porta!
Molti sono i racconti che in casa nostra hanno la Bigia come protagonista, i nostri familiari erano affezionati a quella bizzara ed inquetante vecchietta e lei ha ripagato i nostri familiari con sincero affetto e utilissimi consigli/sortilegi atti ad alleviare quante più pene possibili sia alla gente che alle bestie della stalla ma anche aiutando in cose differenti come, appunto l’afabetizzazione.
La lettera più antica giunta fino ai giorni nostri è datata 01 Dicembre 1914 e da questa lettera scopriamo che la corrispondenza non era proprio sempre portatrice di belle e serene notizie ma, al contrario, in tutte le lettere ritrovate si vede come queste fossero uno strumento di sfogo per i figli oppressi dal dispotico giogo del vecchio Alessandro. Questa prima lettera è stata scritta da Angela e dal marito Agostino Nava alla sorella Rosa residente a Nova Trento in Brasile; non è completa ma è ugualmente davvero interessante perché dalla sua lettura si viene a sapere notizie molto importanti riguardo alla vita familiare:
- Alessandro è diventato sempre più taccagno ed addirittura ha peggiorato il suo già duro carattere tanto che i figli in Brasile stenterebbero a riconoscerlo
- Angela non ha ancora ricevuto la sua quota di dote che il padre le aveva concesso (per intercessione della madre)
- Eliseo all’inizio del nuovo anno partirà per il servizio militare nonostante tutti gli sforzi compiuti dal padre per tenerlo a casa.
- Francesca vorrebbe sposarsi ma il padre non acconsente alle nozze poiché pretende che rimanga in casa ad aiutare la famiglia.
Soprattutto la parte scritta da Agostino Nava ci aiuta ad inquadrare anche la situazione economica e sociale in cui si trova tutta l’Italia in quel periodo: da pochi mesi è scoppiata la Prima Guerra Mondiale; per ora l’Italia non vi ha preso parte ma è già in assetto di preallarme e tutti gli uomini abili alle armi sono stati richiamati quindi c’è meno gente disponibile per il lavoro, c’è una grande crisi economica (viene detta “carestia”) anche dovuta alla chiusura dei traffici internazionali ed a farne le spese sono come sempre i poveri mentre invece i ricchi agricoltori (come ad esempio Alessandro) riescono a trarre grossi guadagni dall’inevitabile aumento dei prezzi dei prodotti agricoli.
Alessandro probabilmente percepisce le conseguenze future di questa situazione economico-politica e, se da un lato si prodiga affinchè il figlio Eliseo non venga chiamato alle armi dall’altro lato si chiude ancora di può nella sua tirchieria per paura di perdere soldi. Può anche darsi che il suo prodigarsi sia soprattutto dovuto al fatto di non voler perdere la sua forza lavoro nell’azienda e non tanto la paura per la sorte del figlio…
In questa lettera Agostino scrive in un passaggio che vista la situazione difficile che si vive in Italia gli piacerebbe davvero tanto poter venire in Brasile ma purtroppo non può perché anche lui è stato richiamato alle armi. Questo lascia ben capire come il ricordo del Brasile come di una terra fortunata abbia contagiato anche i nuovi arrivati in famiglia.
Sempre in questa lettera, Agostino ci mette per la prima volta a conoscenza di un dettaglio familiare molto importante poiché, mentre descrive la precaria situazione economica che si vive in Italia, scrive alla cognata: “Vi faccio sapere anche dello zio di Caravaggio che passa i giorni poco buoni…”. Questo breve accenno fa immediatamente intuire che la famiglia conserva dei rapporti con i vecchi parenti italiani!!! Non sappiamo chi sia questo zio, non sappiamo se sia un familiare di Alessandro o di Elisabetta ma, come si sospettava, abbiamo la prova che Alessandro ed Elisabetta hanno mantenuto i contatti con almeno qualcuno della loro famiglia.
I racconti tramandati dalla nuora Giuseppina Martinelli danno ulteriore conferma che qualche rapporto con i vecchi parenti c’è stato infatti Alessandro almeno una volta all’anno si fa portare lungo la strada bassa che collega Bariano a Caravaggio (denominata “strada dei fossi” oppure “strada delle Morle”) e da li prosegue fino verso una cascina. Non si sa che cascina fosse e chi ci abitasse di preciso ma si sa che si trattava di parenti del vecchio Alessandro, forse suoi fratelli o più probabilmente fratelli della moglie (originaria appunto di Caravaggio) ma questa è un ulteriore prova dell’esistenza di questo “zio di Caravaggio” di cui si scrive.
Nonostante tutti gli sforzi fatti da Alessandro, Eliseo parte soldato ed inspiegabilmente Alessandro da il suo benestare al matrimonio della figlia Francesca che il 01 Febbraio 1915 si sposa con il compaesano Agostino Pesenti che ad ora non sappiamo quanti anni avesse in quanto non è stata ancora trovata documentazione inerente la sua vita.
Allo scoppio della Grande Guerra anche Emanuele viene richiamato ma giudicato inabile causa “denti guasti” quindi può rimanere in casa a lavorare; non sappiamo cosa succeda a Vittorio ma anche lui evita la partenza per il fronte. C’è da sospettare che almeno in questo caso Alessandro sia riuscito a fare valere il potere dei suoi soldi per corrompere gli ufficiali e tenere i due figli in casa ma è una soluzione destinata a durare poco poiché, a causa degli esiti avversi della lunga guerra, presto si capisce che le cose sono destinate a cambiare radicalmente.
L’esito disastroso della battaglia di Caporetto del 24 Ottobre 1917 spinge l’esercito a richiedere una massiccia mole di uomini e due cartoline precetto vengono spedite alla Battagliona, Emanuele e Vittorio vengono di nuovo visitati e giudicati abili ed anche a loro tocca partire per il fronte. La casa rimane totalmente priva di uomini ed Alessandro cade nella disperazione più nera!!! Le tenta tutte pur di impedire la partenza dei suoi figli ma deve arrendersi all’evidenza dei fatti ed è obbligato a prendere decisioni che cambiano radicalmente l’impostazione familiare.
Dalla seconda lettera ritrovata in Brasile, scritta sempre da Angela alla sorella Rosa il giorno 4 Novembre 1917 si ritrovano tutte queste notizie e si scopre che:
- Agostino Nava è stato tra i primi a partire per il fronte e da molto tempo non si hanno più sue notizie, non si sa nemmeno se sia ancora vivo….
- Emanuele e Vittorio partiranno per il fronte il giorno immediatamente successivo a questa lettera nonostante tutti i disperati sforzi di Alessandro.
- Alessandro, trovandosi senza più i figli che lavorano ha deciso di affittare la terra insieme alla cascina ai vicini Colzani e si trasferisce con tutta la famiglia in una piccola cascina posta in centro al paese proprio alle spalle della chiesa e chiama a se anche le due figlie sposate Angela e Francesca poiché i loro mariti sono tutti al fronte.
- Eliseo è in Albania ma, tutto sommato, la sua situazione viene descritta come la più tranquilla.
In questa lettera si vede per la prima e forse unica volta l’aspetto umano di Alessandro; si può leggere il suo spavento di fronte all’impotenza di questa situazione molto più grande di lui. Ha provato a comprare con i suoi soldi la libertà dei figli dal giogo della guerra ma non è riuscito ed ora viene colpito anche nei suoi interessi monetari in quanto si ritrova obbligato ad affittare i suoi terreni, la sua casa e, unico uomo rimasto in famiglia, deve badare a 4 figlie, 2 nuore e 4 nipotini.
Da questa lettera si apprende anche che il rapporto tra Alessandro ed il figlio Vittorio non è per niente bello ed i due non si parlano già da 6 mesi ma pare quasi che la sorella Angela prenda le difese del padre anziché del fratello… Probabilmente Angela in questo momento, cogliendo la difficoltà e la debolezza del padre Alessandro, travolto dalla gravità di questo momento, per una volta si sente in dovere di correre in suo aiuto ed abbandona l’astio che non manca mai di far trasparire nelle sue lettere nei confronti del genitore.
Come detto sopra, la famiglia non più pensare di rimanere a vivere alla cascina Battagliona perché, essendo partiti tutti gli uomini è venuta meno tutta la forza lavoro; il vecchio Alessandro, nonostante sia ancora in piena forza e salute, non può permettersi di badare da solo ai campi ed alle bestie della stalla e non può nemmeno contare sull’aiuto di tutte le figlie e nuore per i lavori pesanti che sono all’ordine del giorno in campagna.
Conscio di tutti questi limiti, piuttosto che pagare alcuni salariati che lo aiutino nei lavori, prende la decisione meno dispendiosa (se non addirittura più remunerativa): decide di affittare la cascina ad alcuni esponenti della famiglia Colzani (che avevano sposato alcune sorelle della nuora Rosa Morosini) che – stando a quanto scrive Angelina: “…Adesso (il papà) ha affittato la cascina e terra ai vicini Colzani…” – già probabilmente vivevano in una delle case poste nella cascina stessa o in un’altra cascina nelle vicinanze e si ritira a vivere con tutte le donne di casa in una piccola cascinetta posta in centro al paese proprio dietro alla chiesa in quella strada che ora ha preso il nome di Via della Repubblica n° 3.
Probabilmente prende questa decisione perché si accorge che i soldi ricevuti dall’affitto della Battagliona sono sufficienti a sfamare tutta la famiglia e pagare l’eventuale affitto della piccola casci netta in cui si ritira a vivere.
Non si è fatta certezza a questo riguardo ma può darsi che addirittura chiami a se anche le due figlie già sposate Angelina e Francesca poiché anche i mariti di queste ultime erano partiti per il fronte. Questa supposizione è data dal fatto che sempre nella lettera scritta da Angelina nel 1917 lei stessa scrive alla sorella: “…(il papà) non scrive perché è sempre occupato nel lavoro ma adesso vedrai che quando verrà qui vicino a me e che lavoro non ne ha più ti scriverà più di spesso…” e poi continua aggiungendo il dettaglio della famiglia che si ricompone interamente scrivendo: “…In quanto la nostra famiglia vanno ancora tutti insieme [= tornano a vivere tutti insieme] perché i nostri fratelli come ti ho detto vanno via Soldati e se avranno la fortuna di tornare ancora a casa (il papà) ci penserà a metterci ancora sulla sua terra…”.
Se questa supposizione fosse vera significherebbe che, come già detto, il vecchio Alessandro dopo aver passato tutta la vita a compiere imprese epiche e coraggiose, aver diretto schiere di uomini e lavoratori da ambo le parti dell’oceano, si ritrova ora, a 65 anni, da solo a dover dirigere e badare ad un esercito di donne e bambini urlanti!!!
E’ infatti in casa insieme a:
- La nuora Lucia (moglie del figlio Vittorio) ed i suoi figli Augusta di 2 anni ed Alessandro che nasce proprio durante quest’anno.
- Angelina e la figlia Narcisa di 6 anni (la più grande dei suoi nipoti italiani)
- La nuora Rosa (moglie di Emanuele) ed i suoi figli Angelo di 5 anni e Giuseppe di 2 anni.
- Vittoria, il suo braccio destro, ancora nubile
- Francesca (che inizia a soffrire per la misteriosa malattia che la porterà ad una prematura morte) ed il figlio Bruno che nasce anche lui durante questo anno
- Antonia, la figlia più giovane, che è ancora nubile
Possiamo facilmente immaginare come questa cosa non sia certo andata a genio al vecchio Alessandro che si sarà sentito come in prigione ed avrà reso la vita impossibile a tutte queste 12 persone che vivevano al suo fianco!!
Dai racconti sentiti in Brasile sappiamo che Emanuele viene ferito ad una gamba ma riesce a sopravvivere e non subisce lesioni permanenti mentre dalle lettere ritrovate sappiamo che Agostino Nava dopo anni di trincea si ammala fortemente e dovrà curarsi per molti anni. Non sappiamo che sorte sia toccata agli altri uomini di famiglia.
Fortunatamente la Grande Guerra finisce e la famiglia Tirloni non si vede costretta a pagare il prezzo di vite umane; tutti gli uomini tornano a casa ed a prezzo di molta fatica la vita può ricominciare.
Non è chiaro cosa accade di preciso, purtroppo è davvero difficile riuscire a far collimare i racconti dei nostri nonni con le prove scritte ma la versione più accreditata è che la cascina viene dapprima ripresa in gestione dalla famiglia e, negli anni seguenti riceduta in affitto.
Le figlie sposate ritornano a vivere nelle loro case insieme ai mariti ed alla Battagliona si trovano a vivere insieme all’anziano padre: Vittorio con la moglie e due figli, Emanuele con la moglie e due figli, ed i tre figli più giovani non ancora sposati (Vittoria, Eliseo ed Antonia).
Proprio di questo periodo immediatamente dopo la fine della Grande Guerra è una lettera scritta da Eliseo, la sua più antica lettera ritrovata in Brasile. Reca la data del giorno 16 Dicembre 1919 e le notizie in essa contenute sono un autentico tesoro:
- Eliseo è rientrato in casa solamente il 30 Ottobre (cioè quasi un anno dopo la fine della guerra) dopo quasi 5 anni di sofferta e pericolosa vita militare.
- Anche Vittorio ed Emanuele sono ritornati dal fronte e stanno tutti bene
- Alessandro ha deciso di comprare un po di terra in più per fare fronte alle necessità della famiglia che si va ingrandendo
- Pochi giorni prima la famiglia ha ricevuto notizie da uno zio residente a Porto Alegre che comunica la scomparsa di altri due zii: Battista e Fermo.
Analizzando le notizie riportate il questa preziosa lettera appare in tutta la sua evidenza anzitutto la brutalità con cui sicuramente Eliseo (e tutti i soldati) ha dovuto imparare a convivere; sicuramente spesso anche solo la speranza di rivedere la propria casa e di propri affetti è venuta meno ed Eliseo si deve essere scoraggiato di fronte alle immagini di così cruda violenza che la guerra propina.
La notizia legata alla terra è molto utile perché ci porta a conoscenza del fatto che probabilmente Alessandro in passato non aveva acquistato la proprietà di alcuni terreni ma semplicemente li aveva presi in affitto da altri in quanto è riportata la frase: “ (la terra) che avevamo prima per altri 7 anni non possiamo più averne”.
Una notizia che davvero colpisce e mette in moto tutta una serie di congetture è quella legata agli zii in quanto alimenta un forte sospetto che si radica sempre di più. Non abbiamo idea di chi sia questo zio di Porto Allegre e non abbiamo certezza nemmeno sull’identità degli altri due zii defunti; probabilmente si tratta di parenti della mamma Elisabetta, magari lo “zio di Porto Allegre” è uno dei due fratelli della mamma Elisabetta e uno degli zii defunti è il marito della sorella di Elisabetta ma chi è l’ultimo zio di cui si fa menzione? I nomi non ci aiutamo per niente poiché nessuno dei fratelli di Elisabetta corrisponde a questi nomi ed è proprio per questo che prende sempre più piede una “strana” ipotesi: sarà una pura coincidenza ma i nomi Battista e Fermo sono i nomi di due dei fratelli maggiori di Alessandro…
Il primo, segnato nel Registro Anagrafico di Bariano con il nome completo “Giovanni Battista” (abbreviato in “GioBatta”), è quello scapolo e con la nota “America”; Fermo è quello segnato come coniugato e con già due bambini. Ovviamente non si vuole tratte conclusioni azzardate anche perchè il nome “Battista” – come tutti i nomi di origine biblica – era molto comune ma resta il fatto che il nome “Fermo”, benché usato nel medioevo, non era assolutamente di uso comune ed era già molto raro anche nell’Ottocento. Nella nostra famiglia questo nome era stato dato ad un fratello di Alessandro in quanto era il nome del nonno, il nostro avo più antico di cui si abbia fino ad ora notizia.
Un ulteriore conferma a questa tesi ci arriva proprio dal Brasile dal vecchio zio Joao Tirloni (ad oggi il nipote più anziano vivente del patriarca) il quale si ricorda che sua mamma, la zia Narcisa Geselle – nuora di Alessandro – parlava di almeno un fratello di Alessandro residente nello stato di Rio Grande do Sul di cui non si avevano più notizie da moltissimo tempo.
Questa scoperta rivoluziona tutte le teorie e supposizioni fatte fin’ora ma ancora non è chiaro come siano avvenuti cronologicamente gli eventi. Ci sono varie possibilità: Alessandro è partito per il Brasile non da solo ma con due fratelli oppure è stato raggiunto dai fratelli in un secondo tempo oppure ancora è stato lui a raggiungere i fratelli emigrati prima di lui… Comunque siano andate esattamente le cose questo significa che altri parenti Tirloni, a noi sconosciuti, sono tutt’ora residenti nel sud del Brasile!!!
In casa Tirloni tutti i membri della famiglia sono soverchiati dalla figura del vecchio Alessandro il cui carattere peggiora e si indurisce sempre di più con il passare degli anni. Come si è detto la cosa che più lo ha caratterizzato è la sua taccagneria che sfiorava l’inverosimile unita alla grande operosità e ad una fibra fortissima. E’ un lavoratore infaticabile, persino in tarda età. Non si ammala mai, si sveglia tutti i giorni alle 4 della mattina e va a bussare alle porte delle camere da letto dei suoi figli pretendendo che si alzino subito. Comanda tutti con il pugno di ferro ed ha il pieno controllo dell’economia familiare, davanti a lui passano i libri contabili che controlla sempre meticolosamente.
In quei tempi non si usava pagare ad ogni acquisto; il bottegaio segnava sui quaderni il conto di ogni famiglia ed il saldo avveniva a giorni prestabiliti. Era allora che Alessandro, quando tutti dormivano, iniziava la sua revisione dei conti e se non quadravano con quello che lui pensava iniziavano i problemi perché ciò significava che era stato acquistato qualcosa a sua insaputa. Mio nonno Peppino ricorda una scena del vecchio nonno Alessandro che cercava di capire il perché di un conto, a suo dire, particolarmente esagerato e pensando ad alta voce diceva:“ Perché 3,80 lire? le garà mia cumprat el saun le done = non avranno mica comprato il sapone le donne”.
Ebbene si. Il sapone era uno di quei beni di lusso che non ci si poteva certo permettere; esattamente come lo zucchero che lo si poteva mangiare solo quando si era ammalati. Arrivato in Italia con due sacchi pieni di monete d’oro, Alessandro faceva vivere la sua famiglia quasi nella miseria, era solito comperare la frutta che iniziava a marcire (in dialetto si diceva: “ col pulesì bagnat = con il pulcino bagnato”) così poteva pagarla di meno.
Alessandro ricorre spesso alla nuora Rosa Morosini, moglie del figlio Emanuele – che è alfabetizzata – per farle scrivere le lettere ai figli in Brasile. Non abbandona mai la speranza che un giorno vengano in Italia e per convincerli in parecchie lettere suggerisce alla nuora di scrivere che in Italia: “c’è sempre la primavera”. Non perde però occasione per denigrarla davanti a tutti ogni volta che si presenti l’occasione. Rosa, passati un po' di anni, diventata una donna piuttosto robusta e, purtroppo, inizia soffre di cardiopatie che in quel tempo non venivano curate a dovere ( “Ogne tant el dutur ghe daa de bif argot, ma prope quant la staa mal = ogni tanto il dottore le dava qualche medicina da bere ma solo quando stava male” ricordava la zia Lucia Cucchi, da tutti detta “Cia” ); spesso le mancano il fiato e le forze ed ha sicuramente bisogno di nutrirsi più di quello che la mensa di casa Tirloni offre quotidianamente.
Proprio in una di queste occasioni la famiglia si trova riunita a tavola ed Emanuele rinuncia alla sua porzione di cibo per darla alla moglie che aveva già finito la parte che le spettava; la scena viene notata da Alessandro che subito incalza a gran voce dicendo: “Ecco, te ta mangiareset anche le gambe del taol = ecco, tu mangeresti anche le gambe del tavolo”.
Come in tutta la realtà del tempo anche in casa Tirloni, in cui i soldi certamente non mancano, la ricerca del cibo è il problema che più affannava tutti poiché Alessandro impone di essere parchi ad ogni costo pur di evitare le spese, per di più è quasi impossibile eludere la guardia della giovane Vittoria che, dalla morte della madre ne aveva ereditato il ruolo di “regidura = matriarca”. Vittoria è unica nel suo genere: esegue alla lettera i desideri di suo padre e nulla le sfugge; su espresso volere del padre arriva addirittura a contare ogni mattina i frutti sulle piante per sincerarsi che nessuno li avesse rubati nottetempo.
Un giorno le due cognate Rosa e Lucia, mosse dalla fame, decidono di attuare un “furto” ai danni della famiglia. Si accorgono che una pianta di pesche quell’anno aveva dato abbondanza di frutti tanto che la stessa Vittoria faceva fatica a tenerne il conto e decidono di raccoglierne alcuni cresciuti in punti difficilmente visibili della pianta. Le pesche erano ancora acerbe e la zia Lucia decide di nasconderle sotto il letto finché non saranno mature ma le pesche sono davvero belle e arrivano velocemente a maturazione riempiendo con il loro caratteristico profumo tutta la stanza. La cosa provoca non pochi problemi poiché le “ladre” vengono inevitabilmente smascherate proprio dal vecchio Alessandro il quale va letteralmente in collera sia con le due nuore che con la figlia Vittoria che non si è accora del furto.
Anche mio nonno Peppino incappa in alcuni guai per via del cibo. Aveva circa 2 anni quando in preda alla fame chiede a sua madre di avere un pezzo di formaggio (lo stracchino); la madre, di nascosto da tutti, lo porta in cucina e gli da una piccola fetta di quel formaggio raccomandandogli di fare molta attenzione e di non farsi vedere da nessuno, soprattutto dalla zia Vittoria. Il piccolo Peppino chiude tra le mani il pezzo di formaggio ed esce dalla cucina con le mani dietro la schiena. Neanche a farlo apposta incappa nella zia Vittoria che, vedendolo con le mani dietro la schiena, si insospettisce e gli chiede: “Fammi vedere cosa nascondi nelle mani!” e mio nonno le risponde: “No, perché me mama ma dit de fatel mia vet!!! = no, perché mia mamma mi ha detto di non fartelo vedere!”.
Alessandro da alle nuore ordini precisi per evitare che la progenie cresca con le “mani bucate” vanificando tutta la fatica da lui fatta per diventare ricco ed è così che la nuora Rosa si ritrova a dover inculcare l’idea del risparmio e della parsimonia ai suoi figli ancora bambini. Mio nonno Peppino raccontava che a 4 anni sua mamma gli aveva insegnato addirittura il concetto di interesse, tutto per volere del vecchio Alessandro.
Tra gli abitanti di Covo l’unica persona che può vagamente far concorrenza, dal punto di vista economico, ad Alessandro è un altro proprietario terriero: il vecchio signor Cesare Bosetti (29-6-1844 / 3-11-1920). Questi è sempre stato famoso a Covo come benefattore e filantropo; alla sua tavola, oltre alla sua numerosissima famiglia (composta da 13 figli ed altrettanti nuore e generi più un numero incredibile di nipoti) c’era sempre qualche persona indigente che, bussando alla sua porta, trovava persone buone e disposte ad accogliere chiunque fosse in difficoltà. La filosofia del signor Bosetti e della moglie Angela Martinelli (1850 /1936) era riassunta con un semplice concetto: un piatto caldo c’è sempre per tutti!
Inizialmente i due diventano amici anche se sono caratterialmente agli antipodi. A differenza di Alessandro, il vecchio signor Bosetti non è per niente avaro e non disdegna ogni tanto concedersi qualche piccolo “lusso” per rendere la vita meno amara quindi la domenica pomeriggio ama recarsi al bar con gli amici per concedersi qualche ora di svago ed allegria animata da una partita a carte ed in compagnia di un buon bicchiere di vino.
Alessandro viene invitato spesse volte a questi incontri conviviali tra signori benestanti ma non può sempre essere “ospite” a volte è anche il suo turno di pagare… e’ quindi inevitabile che presto Alessandro si lamenterà di questo amico che considera uno scriteriato scialacquatore e le loro frequentazioni si diraderanno. Mio nonno Peppino, raccontando questo aneddoto, riportava le parole esatte di Alessandro che in collera diceva: “Me ghe sto pò con Busett, lù l’va al bar e l’bif le butiglie = io non ci sto più con Bosetti, lui va al bar e beve le bottiglie (di vino)”.
Per Alessandro i “cacciatori di dote” devono essere stati fin da sempre un grande incubo e sicuramente non deve aver fatto niente per nasconderlo. La cosa era talmente risaputa in Covo che una mattina fuori dalla cascina Battagiona viene trovato appeso un cartello denigratorio con scritto:
I maggiori indiziati sono gli abitanti della vicina cascina Bolognina e Alessandro, decisamente indispettito, organizza una contromossa con la complicità dei parenti Colzani e pochi giorni dopo, davanti alla cascina Bolognina, appare un cartello di risposta non meno poetico ma sicuramente un po' più scurrile il cui testo mio nonno Peppino non ricordava o, più probabilmente, fingeva di aver scordato salvo un piccolo pezzo in cui il nome di un abitante della Bolognina veniva messo in rima con: “… bus de drè = ... buco di dietro (ovviamente intendendo una parte anatomica)”.
Alla fine anche le ultime due figlie si fidanzano ed il vecchio Alessandro da la sua approvazione alle loro unioni e le due convolano a giuste nozze. Antonia si sposa il 09 Ottobre 1919 con Francesco Galliani, un giovane di Covo di 10 anni più vecchio di lei. Francesco è il rampollo di una ricca famiglia che ha fatto fortuna con le imprese edili, è grande amico di Pietro Bosetti (uno dei figli di Cesare Bosetti) che in seguito diventerà suo cognato poiché ne sposerà la sorella minore e proprio questi gli fa da testimone. Si può ben capire che a questo matrimonio sia presente tutta la gente bene di Covo e sicuramente il vecchio Alessandro è contento di aver fatto sposare bene la figlia.
Vittoria si sposa probabilmente l’anno successivo con un giovane muratore di Calcio (paese confinante con Covo) di 1 anno più vecchio di lei ma di questo matrimonio non è ancora stata trovata documentazione
Entrambe le sorelle ricevono un trattamento di favore dal vecchio Alessandro che accorda ad entrambe cospicue doti. Un gesto così stano è facilmente comprensibile se si pensa che Vittoria era forse la figlia preferita poiché in perfetta sintonia con la politica di assoluta parsimonia di Alessandro mentre Antonia era la figlia più piccola quindi, come tale, può darsi che abbia beneficato di un occhio di riguardo addirittura dal vecchio e terribile padre.