Si capisce facilmente che di tutti i suoi 8 figli Narcisa può contare solamente sul secondogenito Marcial Alexandre che ha solamente 11 anni per i lavori pesanti e difficili che sono la quotidianità della vita nel Garabel!!!
Non può farcela da sola e non può contare solamente sulla manodopera di Luis Zanca, il fedele aiutante che aveva seguito il defunto marito nell’avventura del Garabel ed in tutti i modi si era adopreato per tentare, senza successo, di salvargi la vita; ormai tutti sono indispensabili e tutti devono “crescere in fretta” per aiutare la loro mamma. Ovviamente Marcial, Luiza e Joao sono quelli che hanno la parte peggiore poiché loro sono quelli che più di tutti passano dallo stadio di “semplici aiutanti” a quello di “primaria forza lavoro” per il mantenimento della famiglia.
Ascoltando i racconti del vecchio zio Joao si coglie fin da subito che Narciza, non potendo certamente adoperarsi in prima persona nei lavori pesanti , è obbligata a lasciarli fare ai due figli più grandi così Marcial e Joao si prendono cura della segheria e delle colture (mais, manioca, canna da zucchero, banane, fagioli e altri) mentre la mamma Narciza rimane relegata al ruolo domestico. Lei, insieme alle figlie, si prende cura del cibo, della casa e degli animali (polli, maiali e capre); cuce i vestiti della famiglia, si occupa della mungitura e della produzione del formaggio, prepara il pane, e prepara anche la melassa con le canna da zucchero raccolte.
I racconti che il vecchio zio Joao ci tramanda relativi a questi anni di permanenza nel Garabel successivi alla morte di suo padre si soffermano molte volte sulle persone che hanno fornito un aiuto materiale alla famiglia Tirloni in questi momenti di vera difficoltà; ovviamente le prime persone a cui si rivolgono sono proprio tutti quelli che vivono quanto più vicino a loro anche se la parola “vicino” in questo caso è un puro eufemismo!
Oltre a tutti i problemi che la famiglia Tirloni si trova a dover affrontare, come già detto tutto viene amplificato dall’isolameto a cui sono relegati, ogni qualvolta accade qualcosa e bisogna chiedere aiuto a qualcuno non basta “uscire di casa” oppure “mettersi a gridare per richiamare l’attenzione” perché attorno a questa casa di legno dove vivon non c’è nessuno e nessuno può sentire le loro evetuali grida; bisogna mettersi a correre lungo un sentiero in mezzo ai pericoli del mato finchè non si vede qualche segno di civiltà e non si sentono voci umane. Come se non bastassero tutte le disgrazie, bisogna anche correre a perdifiato e sperare di fare in tempo…
La casa in assoluto più prossima a quella della famiglia Tirloni era quella di Zeca Honorio, questi viveva lungo il cammino che portava ad Agua Negra e lui era sicuramente la prima persona su cui la povera Narciza ed i suoi figli potevano contare in caso di pericolo o estrema necessità. I giovani fratelli Marcial e Joao percorrevano questo cammino ogni qualvolta si recavano al mulino (detto con voce locale “Tafona”) per fare macinare il mais; preferivano recarsi al mulino di Agua Negra poiché, anche se la distanza con Porto Franco era pressoché la stessa, il sentiero che conduceva ad Agua Negra era molto più agevole in quanto c’erano meno colline da superare (quindi il sentiero era più pianeggiante) ed il mato era meno fitto.
Lungo il cammino che portava a Porto Franco i vicini più prossimi alla casa dei Tirloni erano la famiglia Costa e la famiglia Cestari che vivevano in un picolo villaggio chiamato Sessenta.
Il vecchio zio Joao conferma che la famiglia Costa (composta dal capofamiglia Luiz, la moglie Dona Manèga e tre figli: Leu, Ernesto e Zulmira) è stata quella che più di tutti si è presa a cuore la sventurata famiglia Tirloni offrendo loro sia vestiti che, soprattutto, ogni genere di aiuto tant’è vero che i nomi di Leu ed Ernesto Costa compaiono in molti dei racconti che ancora al giorno d’oggi lo zio Joao ama fare per intrattenere quanti lo ascoltano ma anche per educare loro a non abbattersi mai di fronte alle difficoltà.
Dopo la morte del padre Joao, ogni qualvolta volevano mangiare carne i giovani fratelli Tirloni si mettevano a caccia di uccelli (come ad esempio il macuco) oppure, armati di macheti e forse anche di archi e frecce, uccidevano gli armadilli. Nelle loro battute di caccia erano aiutati da due cani che avevano addestrati per essere cani da caccia e di cui spesso lo zio Joao parla nei suoi racconti: una femmina di nome “Tiba” ed un maschio di nome “Branco”.
Questi cani erano diventati un aiuto davvero indispensabile per i giovani fratelli Tirloni, li portavano sempre insieme durante le battute di caccia nel fitto mato sia per fiutare, scovare e inseguire eventuali prede che per aiutarli in caso di spiacevoli incontri con serpenti o altri animali pericolosi. Un giorno, durante una battuta di caccia, questi cani sono scomparsi e proprio i fratelli Costa hanno aiutato lo zio Joao a ritrovarli sani e salvi.