CAPITOLO 6
6.6 - La scelta fatale: pioniere nel Garabel

Le discussioni tra i due fratelli avvengono molto spesso ed i toni sono molto accesi, lo zio Joao ammette infatti che le uniche volte che ha sentito suo padre urlare è proprio quando litigava con la zia Albina!

Joao, come detto, non è un tipo a cui piace arrabbiarsi e tenere astio quindi questa situazione a lui proprio non piace e non riesce a sostenerla per lungo tempo, a cavallo tra il 1923 ed il 1924, in occasione dell’ennesimo litigio con la sorella, al colmo dell’esasperazione ed esausto di tutti questi continui litigi che a lui proprio non piace avere, decide che è ora di finirla una volta per tutte: preferisce lasciarle tutte le sue proprietà ed andarsene altrove piuttosto che rimanere a Porto Franco e continuare a litigare con lei!!! Lo zio Joao ancora ricorda il commento fatto da suo padre a questo riguardo: “Ela tanto fez que conseguiu me tirar tudo”!!! (= Lei ha fatto talmente tanto che è riuscita a togliermi tutto!)

Questo gesto è altamente indicativo di quanto detto fin’ora riguardo alla personalità di Joao: non è un freddo calcolatore come il padre, preferisce la serenità personale e familiare piuttosto che le comodità ed è disposto a cedere per primo (a costo di perdendoci del suo) piuttosto che litigare.

Come già aveva dimostrato 15 anni prima nei confronti di suo padre Alessandro mentre erano in Italia, anche questa volta Joao mantiene fede alle sue parole e non si tira indietro da quanto aveva detto: cede alla sorella sia la sua quota dell’emporio che tutto il terreno della Colônia con la fornace per i mattoni e trasferisce tutta la sua famiglia in una proprietà acquistata dal signor Baldin (“homem pequeno que morava em Águas Negras do outro lado do rio” = un ometto di bassa statura che abitava ad Aguas Negras sull’altra sponda del fiume) posta in mezzo al mato del Garabel, un territorio impervio e praticamente inesplorato al quale si accedeva partendo da Aguas Negras.

All’epoca di questi fatti lo zio Joao era un bambino di soli 7 anni, ma raccontando questi aneddoti ancora al giorno d’oggi si capisce che deve essere rimasto davvero molto impressionato da questa scelta voluta da suo papà tant’è vero che, col senno di poi, passati più di 85 anni commenta: “Abbiamo lasciato una vita buona e tranquilla che, pur se non abbondava il denaro, poteva fornire altri vantaggi necessari per la famiglia. Poi abitavamo nel paese e frequentavamo la scuola… ma è stato gettato tutto alle spalle, io ed i miei fratelli abbiamo lasciato la scuola e ci siamo avventurati su insieme ai nostri genitori in mezzo al mato del Garabel…”.

Il racconto dello zio Joao prosegue svelando le motivazioni che hanno reso per lui indelebile questo ricordo e davvero si scopre una realtà che per lui da bambino è stata sicuramente avventurosa ma, analizzata con la maturità della sua età ed alla luce di tutti i fatti accaduti, forse non si sente di giustificare del tutto. Racconta infatti lo zio: “Il luogo in cui ci siamo stanziati distava approssimativamente 6 km dal centro di Porto Franco; non vi erano strade per raggiungerlo ma solamente un sentiero aperto in mezzo al fitto mato con alte colline da attraversare. Siamo rimasti là fino a quando avevo 13 anni isolati dal mondo e dalla civiltà”.

Territori del comune di Botuverà e dettaglio del Garabel (planimetria – anno 2004)

La proprietà nel Garabel era un piccolo terreno di 3,2 ettari (4000x8000 metri); sulla piana di uno dei colli sorgeva una casa costruita vicino di un fiumiciattolo formato dall’acqua di vari ruscelli che provenivano dalle miniere presenti nella zona; questa casa aveva 4 stanze ed una cucina separata e poco distante dalla casa c’era una segheria mossa da un mulino ad acqua.

Joao, oltre a vari animali tra cui le capre necessarie a fornire il latte per il consumo della famiglia, dispone di 6 buoi per formare 3 pariglie che gli servono per trasportare i tronchi d’albero, un carro da lavoro mosso dai buoi ed una “carrozza” (così la chiama lo zio Joao) con due cavalli ed è proprio in questo posto e con questi mezzi che Joao decide di ripartire da capo insieme alla sua famiglia.

Lo zio Joao commentando i 5 anni di vita trascorsi nel mato del Garabel ammette: “Là ho passato un infanzia piena di avventure, con ricordi belli e brutti”.

Carro di buoi e Carrozza a cavalli (fotografie – anni recenti)

Vedendo il filmato del 1998 si capisce benissimo come doveva essere difficile vivere in questo posto: ancora al giorno d’oggi non esistono strade ma solo un sentiero sterrato che presto viene inghiottito dalla vegetazione, il sentiero è attraversato da molti ruscelli che rendono fangosa la terra e difficile la salita che ancora al giorno d’oggi si può fare solamente a piedi.

Sicuramente ai tempi di Joao questo sentiero era più curato e lo stesso Joao avrà provveduto a renderlo più praticabile per potersi spostare più agevolmente ma comunque sia la famiglia era veramente persa nel mato ed assolutamente isolata dalla civiltà!!! Al giorno d’oggi nessuno vive più in quelle terre ed inevitabilmente tutto è caduto nel più totale abbandono. La natura ha velocemente ripreso il sopravvento.

Inizio della strada sterrata che conduce al Garabel (fotografia – anno 2010) e sentiero che porta alla casa di Joao (filmato – anno 1998)

Nel 1998 lo zio Joao ha ripercorso insieme alla moglie ed alcuni dei suoi figli i sentieri della sua infanzia; è ritornato a Porto Franco (ora chiamata Botuverà) mostrando ai suoi familiari i luoghi in cui è nato e dove è cresciuto ma non si è fermato qui, nonostante avesse già 82 anni ha voluto tornare nel Garabel ed ha percorso a piedi tutto il sentiero fino a giungere a vedere i resti della casa in cui ha vissuto insieme a sua madre, i suoi fratelli e – per poco tempo – suo padre.

Resti della casa di Joao Tirloni nel Garabel (filmato – anno 1998)

E’ lo stesso zio Joao che ci spiega la motivazione che molto probabilmente ha mosso suo padre a tentare questa scommessa: “mio papà ha voluto fare la stessa cosa che aveva fatto in precedenza mio nonno Alessandro Tirloni ma lui non aveva l’esperienza e nemmeno la capacità di suo padre… ed infatti è morto”.

La riflessione dello zio Joao è davvero molto bella ed intelligente e va presa nella massima considerazione proprio perché lui è l’unico che ha conosciuto personalmente suo papà quindi nessuno meglio di lui può capire cosa pensasse e muovesse la volontà del suo sfortunato padre: la vita in paese non soddisfaceva Joao perché non riusciva a realizzarsi appieno secondo le sue aspettative.

Lui che aveva osato ribellarsi alla volontà paterna non accettava di essere succube della sorella ed altresì il paragone con il padre Alessandro, con tutti i suoi successi e le sue molteplici capacità, erano per lui sia uno sprone a cui aggrapparsi che un ostacolo da superare per dimostrare anche a se stesso di essere all’altezza o addirittura meglio del suo padre-padrone. Proprio per questo, tra tutte le possibilità che aveva, Joao sceglie la strada sicuramente più difficile: spingersi nello sperduto mato e ripercorrere le orme di suo padre.

A differenza di suo padre Alessandro, Joao aveva dalla sua la conoscenza della natura e la memoria di quanto fatto prima da suo padre che, insieme al manipolo di pionieri, aveva risalito con le canoe il rio Itajai-Mirim ed aveva tagliato le gole dei Bugres (chissà quante volte Joao avrà sentito quelle storie, sicuramente le sapeva a memoria!!!) ma, a differenza di suo padre, lui in questa avventura è praticamente da solo e, oltre all’irrisorio aiuto dei suoi bambini più grandi, può contare solo sulle sue braccia e su quelle di un aiutante che lo affianca probabilmente da subito: Luis Zanca.

Joao insieme al suo aiutante taglia le piante e le trasporta fino alla segheria poi, una volta scortecciate, pulite e ridotte alle dimensioni giuste le porta ad Agua Negra, località che dista circa 6 km dal Garabel, per venderle; Joao preferisce appoggiarsi al villaggio di Agua-Negra anziché portarla a Porto Franco perché il tragitto è molto più semplice e questo piccolo villaggio è situato molto più vicino alla città di Brusque. La legna poteva essere trasportata sia via fiume, con i balseiros lungo il rio Itajai-Mirim, che via terra usando il carro trainato dai buoi fino alla città di Itajai.

“Carretào de bois” come apparivano nella prima metà del Novecento (fotografia e dipinto)

Al giorno d’oggi Agua Negra è un distretto della prefettura di Botuverà molto ben curato con tutte le infrastrutture utili ma in quel tempo lo zio Joao ricorda che “era solo mato, piccole strade sterrate, un emporio e alcune case sparse e distanti tra loro. C’era anche un chiesetta dove ci recavamo sempre con i nostri genitori ma che è stata demolita a seguito di alcuni falsi miracoli inventati per una beata che risiedeva in quel villaggio”.

“Carroça” come apparivano nella prima metà del Novecento (dipinti)

La vita di Joao adesso è diventata praticamente identica a quella che aveva fatto suo padre Alessandro circa 50 anni prima: anche lui è un pioniere che cerca di vivere ricavando un pò di terra da coltivare disboscando il mato ma in condizioni forse ancora peggiori di quelle incontrate da suo padre perché lui vive praticamente isolato tra tutte le difficoltà ed insidie che il mato porta con se.

Viene facilmente da pensare che almeno adesso Joao è felice perchè questo è forse quello che sognava da tanti anni, forse tantissimi. Quasi sicuramente era questo che sognava quando doveva spaccarsi la schiena soggiogato dal padre–padrone Alessandro, quando non poteva evitare le discussioni con la sorella Albina che lo portavano a perdere il controllo dei nervi… Questa è la libertà che sognava da tanti anni ed ora che è riuscito a realizzare il suo sogno, anche se viveva isolato dal mondo ed in condizioni disagevoli, si sente pienamente libero ed anche la sua Narcisa pur tra queste mille difficoltà avrà sicuramente sorriso nel vedere il suo amato Joao contento e finalmente pieno di entusiasmo. Joao è sicuramente anche pieno di iniziative e progetti per il futuro ma questo clima felice è destinato a durare davvero poco perché, dopo appena 6 mesi che vive nel Garabel, Joao deve andare incontro al suo destino...

Era un giorno come tanti altri quel giorno di metà Aprile; in Brasile l’autunno era alle porte, quella notte era piovuto molto ma la mattina tutto era iniziato come sempre e nulla lasciava presupporre che di li a poche ore la vita della famiglia Tirloni sarebbe cambiata per sempre.

Quel giorno fatale Joao aveva deciso di tagliare un immenso albero alto più di 30 metri e con un diametro di circa 2 metri che già altre persone avevano cercato in precedenza di tagliare senza però mai riuscirci; uscendo di casa saluta la moglie ed i figli, raccoglie tutti gli attrezzi che gli sarebbero serviti, prende i buoi (che serviranno per trasportare l’albero tagliato fino alla segheria) e si incammina nella foresta. Insieme a lui c’è come sempre il suo fidato aiutante Luis Zanca ma anche due dei figli più grandi che Joao si portato appresso per occuparsi dei buoi: Luiza, di circa 9 anni, e Joao che ne ha quasi 8.

Dopo alcune ore di fatica, Joao ed il suo aiutante riescono a recidere la base dell’albero e farlo cadere. La pianta però è talmente alta che cadendo si adagia tra due versanti della collina creando “un ponte” ad un altezza di circa 6 metri dal suolo cosa che rende ancora più difficili le normali operazioni di taglio. Joao decide di tagliare la pianta nel mezzo per far si che, divisa in due tronconi, cada al suolo e possa essere smembrata di tutti i rami e trasportata fino alla segheria.

Quest’operazione di taglio non è per niente facile anzi è decisamente ad alto rischio. Joao deve praticamente salire sul grande albero abbattuto, iniziare a tagliarlo ma abbandonarlo velocemente saltando su un’altra pianta vicina per evitare di finire a terra anche lui una volta che l’albero, diviso in due, perde l’appoggio e cade. La pianta su cui assicurarsi va scelta con particolare cura per evitare che anch’essa finisca trascinata a terra dal grande albero durante la sua caduta e Joao, dopo aver studiato attentamente la situazione, sceglie una piccola pianta di Palmito che si trova vicino al grande albero, vi si assicura (forse anche legandosi con delle corde) ed inizia a tagliare in due il grande albero, pronto a saltare sul Palmito non appena il grande albero starà per cadere.

Anche quest’operazione di taglio in due del grande albero è un operazione lunga e faticosa, richiede sicuramente molto tempo e tanta forza. In momenti di sforzo e stress estremo l’attenzione fa presto a calare e la soglia di rischio cresce sempre più ma altrettanto velocemente viene tralasciata per concentrarsi sugli sforzi da fare. Si arriva così agli ultimi momenti del taglio, la grande pianta inizia a dare segni di cedimento iniziando ad incrinarsi. Joao, sicuramente sfinito, deve assestare solo gli ultimi colpi per abbatterla e l’adrenalina che ha in corpo lo supporta; sono momenti molto concitati e l’attenzione di tutti a questo punto è ritornata ai livelli massimi poiché tutti sono ben consci che quello è il momento più pericoloso.

Joao sente scricchiolare la pianta sotto i suoi piedi, questo è il segnale che aspettava ed è subito pronto per saltare sul Palmito mentre a terra tutti si mettono al riparo osservando quanto sta accadendo… Il grande albero cede trascinando a terra con se anche altre piante; il fragore assordante del legno che si spacca copre per pochi secondi tutto l’ambiente circostante ma la scena che si para davanti agli occhi di tutti è davvero agghiacciante: Joao è saltato sul Palmito ma purtroppo questa piccola pianta, già di per se molto liscia, inzuppata dall’acqua della pioggia notturna, era diventata ancor più viscida; il povero Joao perde l’appoggio, scivola e cade a terra insieme a tutte le altre piante rimanendo con un piede schiacciato sotto ai vari alberi che stavano cadendo!!!

Quando quegli interminabili secondi finisco ed il fragore dello schianto lascia spazio alla paura, nella foresta risuona alto il grido di disperazione di questi sventurati che escono da riparo e spaventatissimi accorrono verso il grande cumulo di legna. Joao è incredibilmente ancora vivo ma il suo piede (non si sa con precisione quale dei due) è intrappolato sotto alla legna ed il tallone maciullato gli provoca un dolore lancinante!!! Lo zio Joao ricorda che suo padre: “gritava como un doido de tanta dor” (= gridava come un pazzo da tanto dolore provava).

L’aiutante di Joao, Luis Zanca, capisce subito che non c’è modo di districare il piede di Joao da quella tenaglia mortale, l’unico modo per liberarlo è tagliare tutti i rami che lo tengono bloccato e subito prende gli attrezzi da taglio ed inizia la sua forsennata corsa contro il tempo. Luis si adopera con tutta la sua forza per liberare il suo padrone ma per tagliare piante così grosse ci vuole davvero molto; solo dopo più di due ore Joao viene liberato dalla pianta che gli aveva tenuto intrappolato il piede recidendo il tallone ma le difficoltà non sono ancora finite perché ovviamente Joao in quelle condizioni non può certo camminare…

Luis non si perde d’animo, benché sia spossato dalla fatica si carica Joao sulla schiena ed in questo modo lo trasporta in mezzo al mato fino alla casa per ben un chilometro sotto gli occhi terrorizzati dei piccoli Luiza e Joao

A casa, la scena che Narciza deve aver visto deve essere stato quanto di più straziante potesse immaginare: quella mattina aveva salutato il marito come ogni giorno e, come fa ogni mamma, magari avrà ammonito i figli dicendo loro di stare attenti a non farsi male e di non disobbedire al papà… Ora invece sta per iniziare per lei una prova difficilissima che durerà per più di 40 anni!!!

Narcisa si è da poco ripresa dall’ultima gravidanza portata a termine proprio pochissimi mesi prima, non è più giovanissima per affrontare i problemi legati all’allattamento ed alla cura di un’infante e sicuramente ha avuto pochissimo tempo per riposare e rimettersi in forza dal parto. Sebbene le sue notti siano interrotte dal pianto della sua bimba neonata ormai sta riprendendo, aiutata dalle figlie più grandi, la vita di tutti i giorni nella difficile e pesante realtà pionieristica del Garbel.

Mentre è affaccendata nei mestieri domestici o magari mentre si sta prendendo cura della neonata Maria, ancora in fasce, quasi sicuramente Narciza inizia a sentire voci a lei conosciute giungere dal fitto mato, magari riconosce da subito le voci dei suoi bambini ma fin da subito si accorge che le voci non sono il tipico parlare che già altre volte sente quando la sera gli uomini ritornano dal lavoro ed annunciano il loro arrivo… Probabilmente Narciza esce di casa ed inizia a scrutare nel mato ma non riesce ancora a vedere niente e continua a sentire le voci che il mato le porta e cerca di cogliere quante più indicazioni possibili: sono grida concitate di richiamo …sente anche delle grida di dolore… Capisce che è successo qualcosa…ma a chi???

Non sappiamo se Narciza abbia riconosciuto prima le grida di dolore del marito o il richiamo dei figli che la mettevano in allarme dicendo che il papà aveva avuto un incidente ma quando i quattro che erano partiti la mattina escono dal fitto mato Narciza vede i suoi bambini con i volti chiaramente segnati dalla paura e poi vede l’aiutante Luis che, stravolto dalla fatica e con la schiena a pezzi, porta in spalla ormai a stento una persona che urla dal dolore. In quel volto, sfigurato dal gran dolore e seminascosto da Luis che lo sta trasportando, Narciza riconosce il suo Joao!

Possiamo immaginare cosa ha provato Narciza in questo momento… Dopo un istante di esitazione in cui la sua volontà avrà ceduto alla disperazione, sarà corsa incontro al marito, avrà aiutato Luis a portarlo in casa ed adagiarlo sul letto e a questo punto avrà radunato le poche cose che aveva per cercare di medicare le ferite del marito ed a quel punto si sarà deciso su cosa fare… Si decide di non portare Joao in un ospedale (che si trovava ad Azambuja, un quartiere di Brusque) perché si pensa possa essere medicato e curato in casa; probabilmente anche lo stesso Joao, nonostante tutto il male che continuava a provare, si sarà opposto ad un trasporto fino all’ospedale. Al giorno d’oggi la strada che separa Azambuja da Botuverà non è molta ma al momento in cui avviene questo racconto percorrere quella distanza non era cosa da poco e, nelle condizioni in cui si trova, spossato e con il dolore che non gli da tregua, Joao sicuramente non se la sente di affrontare anche un lungo viaggio.

Qualcuno (non si sa chi) va comunque subito a chiamare non proprio un dottore (all’epoca erano ancora rarissimi) ma almeno qualcuno che possa curarlo più efficacemente di un semplice “bendizeiro” (= guaritore) infatti nei giorni seguenti viene curato dal sig. Minguante che faceva medicazioni ma purtroppo la situazione clinica non migliora per niente e Joao affronta un autentico calvario… Le carni recise lasciano scoperti i nervi e le cure che gli vengono impartite non servono a nulla; la ferita ben presto si infetta ed il piede di Joao inizia ben presto ad andare in cancrena facendolo soffrire ancora di più!

All’epoca non esistevano antibiotici per fermare le infezioni e non esistevano nemmeno antidolorifici per alleviare queste atroci sofferenze. Lo zio Joao ricorda ancora molto bene i giorni del calvario di suo padre; racconta che, con il progredire della cancrena, i dolori erano sempre più forti e suo padre gridava e piangeva giorno e notte contorcendosi sempre di più a seguito degli spasmi ma così facendo però peggiorava ancora di più la sua situazione perché la ferita si riapriva e lo faceva soffrire ancora di più. Racconta sempre lo zio che per evitare che suo padre si facesse ancora più male di quanto già soffrisse si è arrivati al punto di legarlo al letto!!!

La notizia dell’incidente di Joao e delle disperate condizioni in cui versa si sparge velocemente e arriva ben presto sia a Porto Franco che a Nova Trento (dove risiede la sorella Rosa e tutti i parenti della moglie) ma, dato che Joao vive in mezzo al mato in un posto non certo facile da raggiungere, non sono in molti ad accorrere al suo capezzale per fare visita a lui ed alla moglie in questi interminabili giorni.

Di tutti i parenti di suo padre l’unico che il vecchio zio Joao ricorda essere venuto a trovarli è stato lo zio Joao Morelli, marito di Joana Tirloni e testimone di nozze di Joao e Narciza. Joao Morelli si spinge fino alla casa dei cognati e conforta la famiglia cercando di dare loro anche un barlume di speranza infatti commenta la situazione dicendo ai bambini che il loro papà sarebbe presto migliorato ma nessuno poteva sapere che la ferita incancrenita aveva fatto contrarre a Joao anche il tetano quindi la sua sorte era già definitivamente segnata tant’è vero che proprio il giorno successivo, il 17 Aprile 1924, Joao entra in agonia ed alle 16 del pomeriggio, a soli 38 anni di età, smette per sempre di soffrire.

Il vecchio zio Joao ricorda che il cadavere di suo padre, dopo essere stato preparato per la sepoltura, è stato messo sulla carrozza per essere portato fino al cimitero di Porto Franco e lui è rimasto pietrificato, con le mani giunte, nel cortile a seguire con gli occhi la carrozza consolato da un anziano amico di famiglia chiamato “il vecchio Bernardo”. Proprio questa è l’immagine che ancora oggi, a distanza di 87 anni, lo zio ha ben registrata nella memoria: “a carroça desaparecendo no meio do mato…” (= la carrozza che va scomparendo in mezzo al mato).

Nella parte vecchia del cimitero di Botuverà ancora oggi si trova il luogo in cui è sepolto Joao. E’ una tomba di famiglia in cui molti anni dopo verranno sepolti alcuni cugini Colombi ed in ultimo anche la sorella Albina insieme al marito Josè Maestri, proprio quella sorella con la quale aveva avuto i pochi momenti di ira della sua breve vita. Al momento di questi ultimi decessi viene tolta la lapide che originariamente era stata posta sulla tomba di Joao quindi non sapremo mai se almeno originariamente sulla sua lapide il suo nome fosse stato riportato fedelmente in italiano così come era stato battezzato “Giovanni Tirloni”.

Al momento dei decessi di Albina e Josè Maestri, entrambi avvenuti nel 1968 viene posta una lapide che durerà per molti anni e su questa lapide non solo il suo nome ma addirittura il suo cognome, come anche per la sorella Albina, viene naturalizzato nel portoghese “Joao Tirlom” ma a dire la verità sono dubbioso sul fatto che questa trascrizione del nostro cognome sia stata fatta sulla base di una naturalizzazione poiché sulla stessa lapide il cognome del cognato Josè Maestri, che meglio si presta ad una traduzione letterale, viene invece riportato correttamente.

Vecchia lapide di Joao Tirloni e dei coniugi Albina e Josè Maestri nel cimitero di Botuverà (filmato – anno 1998)

Al momento della mia visita in Brasile questa tomba era in via di rifacimento e sulla semplice lapide è stata indicata come data di morte il 17 Aprile 1927 cioè tre anni dopo a quando è avvenuta realmente. Questa data è ovviamente sbagliata ma almeno il cognome viene segnato in maniera giusta.

Attuale lapide di Joao Tirloni e dei coniugi Albina e Josè Maestri nel cimitero di Botuverà (fotografia – anno 2009)

Le ricerche eseguite dai vari discendenti di Joao per ottenere la doppia cittadinanza italiana hanno portato alla scoperta anche del suo certificato di morte e leggendo questo documento si trova un’altra discrepanza riguardo al mese in cui Joao è deceduto che dal documento ufficiale risulta avvenuta il 21 Giugno 1924 quindi circa 3 mesi dopo.

Non è molto facile stabilire quale delle due date sia la più veritiera poiché sulle lapidi sia vecchia che nuova viene sempre riportato il 17 Aprile ed a riprova di questo c’è anche il ricordo dello zio Dorval Luiz Maestri che dice: “me soi nasit porpe el de che ghè mort èl puor sio Joao Tirloni” (= io sono nato proprio il giorno in cui è morto il povero zio Joao Tirloni) cioè appunto il 17 Aprile 1924. un altro fatto che mi fa considerare errata la data del 21 Giugno è il fatto che quello è proprio il giorno di compleanno del vecchio zio Joao… Mi sembra strano che lo zio non ricordi che suo padre è morto in maniera così orribile proprio il giorno del suo compleanno!!!

L’unica prova a favore della data riportata sul certificato è il fatto che la dichiarazione di morte risulta ufficializzata il giorno 8 Luglio cioè dopo sole due settimane dal decesso quindi con buon tempismo; se invece fosse vera la data del 17 Aprile significa che per ben 3 mesi nessuno si è curato di ufficializzare il decesso del povero Joao e la cosa appare veramente insensata…

Certificato di morte di Joao Tirloni (fotocopia – anno 2005)

Joao muore in giovane età e proprio nel momento in cui alla sua famiglia maggiormente serviva la sua presenza; il suo tanto agognato sogno di riscatto gli è stato presto fatale lasciando nelle difficoltà proprio le persone a lui più care: sua moglie ed i suoi 8 bambini, una delle quali è nata da pochissimi mesi. Chissà se in questi momenti i suoi familiari, magari in preda al più tetro sconforto ed alla più inconsolabile disperazione, maledicono la sua scelta di vendere tutto e venire a stare nel Garabel…

Non sappiamo come mai, di fronte ad una situazione così grave e soprattutto con il continuo peggiorare delle sue condizioni, nessuno ha pensato di portare Joao in un ospedale o, quanto meno, di amputargli la gamba per cercare almeno di fermare la cancrena che avanzava aggravando sempre di più le sue condizioni… Il tetano non lo si poteva certo diagnosticare ma una cancrena sì, è una cosa a cui un tempo si era molto più avvezzi ….eppure nessuno ci ha pensato.

Probabilmente la necessità di un’amputazione era nota ed evidente a tutti ma forse nei primi momenti tutti speravano che Joao si riprendesse e, ovviamente, se si considera le sue condizioni di vita, un amputazione per lui sarebbe stato un problema gravissimo. Praticamente sarebbe stato quasi del tutto inabile a fare il suo lavoro che era ancora ad uno stadio embrionale. Probabilmente quindi all’inizio Joao stesso si sarà opposto fermamente ad una soluzione così drastica e quando le sue condizioni sono drammaticamente peggiorate tutti, compreso lui, hanno capito che ormai nulla, se non un miracolo, lo avrebbe più salvato dalla morte.

Bisogna però anche pensare che un tempo non c’era molta fiducia nella medicina e negli ospedali tant’è vero che sarà stata sicuramente ben presente in tutti l’immagine della sorella di Joao, Francesca Tirloni Pesenti, che in Italia aveva sofferto per anni girando da un ospedale all’altro senza risolvere niente pur non lesinando sulle spese e che era venuta mancare 4 anni prima a soli 26 anni.

Joao muore per colpa di una disgrazia, un incidente sul lavoro come sarà capitato prima e dopo di lui anche ad altre persone che per vivere avevano scelto di fare quella professione. Le cause che lo hanno portato a procurarsi un simile incidente sono difficili da ricercare e viene difficile ritenere che se suo padre Alessandro o qualcun altro con più esperienza fosse stato al suo posto forse questa tragedia non si sarebbe verificata…

Lo zio Joao dice che il padre ha sbagliato per inesperienza ma io personalmente, pur nel più assoluto rispetto, mi sento di distaccarmi un pò da questo giudizio e riabilitare un po la figura di questo nostro parente perché comunque Joao aveva vissuto a contatto con il mato e le segherie praticamente sin dalla sua nascita.

Personalmente mi sento di commentare che a Joao è mancata la fortuna, non certo il valore o l’esperienza!!!

Joao Tirloni (fotografia – anni ‘10)